Irene Farabella, la ricercatrice tornata a Genova per studiare il genoma in 3D
Tornare a Genova forte di un grant di un milione di dollari, dopo una carriera internazionale, per costruire da zero un team di ricerca per studiare il genoma in 3D grazie a una tecnica di microscopia avanzata. È la sfida in cui è impegnata la ricercatrice genovese Irene Farabella dopo essersi aggiudicata, nel giugno del 2022, il Career Development Award con cui la Fondazione Giovanni Armenise Harvard premia i giovani scienziati più promettenti per contribuire alla creazione di nuove aree di ricerca di base in Italia in campo biomedico.
Duecentomila euro moltiplicati per cinque anni e una missione: dirigere un laboratorio per lo studio della conformazione in 3D del genoma. Farabella ha scelto di farlo a Genova, la sua città, all’Istituto italiano di tecnologia, fondazione di diritto privato vigilata dal Ministero dell’economia e delle finanze, che la finanzia all’80%, e dal Ministero dell’istruzione e del merito. A partire da settembre si è insediata al Center for Human Technologies nel campus di Erzelli, la collina da cui si domina l’aeroporto adagiato sul mare e nei cui palazzi ha sede uno dei 15 poli che Iit gestisce in tutta Italia.
Farabella è una biotecnologa, specializzata in bioinformatica e analisi computazionale: il suo campo di studi sono i cromosomi, che grazie e microscopi ad altissima risoluzione riesce a ricostruire il forma tridimensionale per comprenderne il funzionamento. Ma in questi mesi il suo lavoro assomiglia più a quello di una recruiter.
Un doppio adattamento
«Sono in fase di hiring del personale, e non è semplice trovare le figure che sto cercando, che devono integrare competenze biologiche e informatiche» racconta. Dopo la laurea a Milano-Bicocca in biotecnologie mediche, ha maturato una serie di esperienze all’estero, prima in Olanda, poi a Londra e a Barcellona. Qui, durante un post-doc al Centre Nacional d’Anàlisi Genòmica, ha avviato una fitta collaborazione con la Harvard Medical School di Boston, in parte in presenza e in parte da remoto.
«Ogni volta che ho cambiato paese ho avuto una fase di adattamento al nuovo ambiente lavorativo, che durava di solito tra sei mesi e un anno – racconta la ricercatrice –. Ora sono in questa fase di adattamento in Italia, ma è la prima volta che devo occuparmi in prima persona della ricerca di personale. È un doppio adattamento».
Irene Farabella PI Integrative Nuclear Architecture. Photo by Laura Taverna. Credits: Istituto Italiano di Tecnologia – © IIT, all rights reserved
Il lavoro da remoto ha cambiato il mercato
Una veste nuova che la porta a confrontarsi con una particolare forma di shortage di manodopera, come avviene in molti altri campi, soprattutto quelli che hanno a che vedere con l’informatica. «Nel post pandemia c’è stato uno slittamento in quel segmento del mercato del lavoro – spiega –. Molte compagnie estere di data analyst hanno capito che il lavoro da remoto poteva essere un’opportunità. Si sono prese una fetta di mercato, professionisti di alto livello che volevano rimanere nel loro paese d’origine. Per questo si fatica a trovare personale qualificato: a Barcellona e ad Harvard hanno lo stesso problema che vivo io in Italia».
Durante i suoi anni a Barcellona, Farabella ha visto molti colleghi prendere casa in villaggi sperduti della Spagna, con vista mare e un’alta qualità della vita, e lavorare per università di Singapore, del Sudamerica o del Massachusets. «Basta adattasi al fuso orario».
È questo uno dei fenomeni che rendono non semplice la costruzione del nuovo team. Non è, secondo la ricercatrice ligure, un problema principalmente economico. «Le tabelle di retribuzione applicate dall’Iit per i profili che sto cercando sono in linea con quelle spagnole – afferma Farabella –. Spagna e Italia da questo punto di vista sono paragonabili, mentre Usa e Regno Unito hanno retribuzioni di un altro livello, ma hanno anche sistemi universitari e di ricerca così diversi che metterli a confronto non sarebbe corretto».
L’insostituibile pausa caffè
Per il suo nuovo laboratorio all’Iit, Irene Farabella cerca persone in carne e ossa. «Per il lavoro che facciamo noi e per creare un certo clima nel team è molto meglio esserci di persona. Se lavori da remoto, l’idea che ti può venire chiacchierando mentre prendi un caffè insieme a un collega si perde».
Non solo. L’interazione sociale, la biotecnologa ne è convinta, è un ingrediente che non può mancare per costruire un clima di benessere in laboratorio, che è fatto anche di momenti di relax e divertimento. Della condivisione di percorsi e degli spazi di una città.
In copertina: Irene Farabella, Ricercatrice IIT, responsabile del laboratorio Integrative Nuclear Architecture. Photo by Laura Taverna. Credits: Istituto Italiano di Tecnologia – © IIT, all rights reserved