Fosca Pellegrinotti Mari, veneziana a New York: l'Italia attragga i talenti, non li rincorra
Oltre un milione di persone altamente qualificate ha lasciato l’Italia nell’ultimo decennio. Destinazione principale: gli Stati Uniti. Tra loro, anche Fosca Pellegrinotti Mari, oggi Vicepresidente di ExportUSA, società di consulenza che affianca l’internazionalizzazione delle imprese italiane nel mercato americano, con una sede a New York e una a Rimini.
Veneziana, classe 1987 e residente negli States dal 2012, Fosca ha iniziato la sua carriera con un tirocinio, per poi scalare tutti i possibili ruoli aziendali sino a raggiungere i vertici. Un caso, appunto, non isolato se si considera che secondo i dati dell’Aire, all’inizio del 2020 negli Usa erano 283.350 le persone iscritte all’anagrafe degli italiani residenti all’estero. A gennaio del 2021 sono aumentate a 289.685, mentre all’inizio del 2022 sono balzate a 297.917. Un esodo che non conosce crisi, tanto che negli ultimi anni il numero di italiani che sono partiti verso il Nord America è quasi raddoppiato.
A GoodJob, Fosca Pellegrinotti Mari ha spiegato perché gli Stati Uniti sono – ancora – così attrattivi e soprattutto perché l’Italia non riesce a esserlo abbastanza per i suoi talenti.
Puntare su chi è rimasto (o non è già andato via)
«L’Italia – commenta Fosca Pellegrinotti Mari – dovrebbe attrarre cervelli, non rincorrerli. L’idea di far tornare gli espatriati attraverso la leva degli incentivi fiscale è la dimostrazione di quanto poco si guardi al domani. Manovre come queste sono seducenti ma generano solo una guerra tra poveri. La competizione dovrebbe essere basata sul talento». Una riflessione che Fosca fa a malincuore «perché – ammette – se potessi lavorare come faccio qui negli Usa in Italia, non avrei dubbi sulla scelta. Gli Stati Uniti non sono un paese facile, pensi di conoscerli e invece c’è molta più complessità di quella che immagini. Ma sono un paese che ti spinge a essere migliore, a investire su te stesso. In Italia questo abbiamo smesso di farlo da tempo. Ora, affinché ci sia qualcosa a cui tornare è necessario guardare alle risorse con alto potenziale che ancora non hanno scelto se sfruttarlo altrove».
Del resto, anche il suo incontro con gli Stati Uniti doveva essere temporaneo. Non era partita con l’idea di fuggire, ma semplicemente mossa dalla curiosità di un tirocinio post lauream, un periodo di passaggio. E invece, qualcosa è cambiato.
«Ho scoperto una realtà stimolante, in cui non sono stata messa in panchina, ma anzi mi è stato detto di mettere le mani in pasta fin dal primo giorno, di provare e anche di sbagliare, perché sbagliando avrei imparato». Così è cresciuta velocemente, tanto da essere oggi vice presidente della società. Il suo lavoro consiste nel confrontarsi ogni giorno con aziende e giovani alla ricerca del sogno americano. «Questo – aggiunge – mi ha consentito di mantenere una certa vicinanza agli oneri ed onori del nostro paese. Oggi sono profondamente convinta che servano due cose, su tutte: la scuola che, per quanto vanti una formazione eccellente, manca di praticità e collegamento alle esigenze reali del mercato; e gli investimenti dall’alto. Serve una visione politica di lungo periodo che aiuti le imprese a liberare il talento. Aumentare gli stipendi è fondamentale, ma va di pari passo con la riduzione del costo del lavoro».
La responsabilità che fa crescere
Infine, la mentalità: «In America sei portato a sentirti responsabile, anche se sei solo un dipendente o uno stagista. Sai che ciò che fai conta e avrà delle conseguenze. È un atteggiamento che ti fa uscire dalla zona di confort, che stimola la tua intraprendenza e fa emergere il talento. Così si genera un circolo virtuoso di cui vuoi essere parte».
Dunque, esiste ancora il sogno americano? «Non è più quello di una volta, su questo non ci sono dubbi. Ma esistono nuove occasioni: bisogna avere la flessibilità mentale giusta per coglierle e l’umiltà per continuare ad alimentare le proprie ambizioni senza pensare mai di essere davvero arrivati» – conclude Fosca.