Workation, che fine hanno fatto le ferie?
Si fa presto a dire ferie. Nell’epoca dell’ibridazione totale tra la vita personale e quella professionale, gli spazi dell’ozio sono sempre più contaminati da quelli del lavoro, e viceversa. La workation ne è un esempio. Di cosa si tratta? Del tentativo di combinare la dimensione dell’ufficio con quella della vacanza cercando di rendere più allettante il primo e meno dispendiosa, in termini di produttività, la seconda. Funziona? Andiamo con ordine.
La workation, come ricorda lo studio legale Osborne Clarke, presuppone la possibilità di lavorare in modo flessibile, ma anche di conciliare i propri impegni con altre attività di svago e intrattenimento. Le aziende, in genere, concedono ai dipendenti un periodo di workation continuativo compreso tra 1 e 4 settimane, ma nulla vieta di consentirlo anche per periodi più lunghi. Attenzione: da non confondere con lo smart working che invece non presuppone momenti da dedicare all’ozio tipico delle vacanze.
I lati positivi: creatività e soddisfazione
Gli americani, che per primi hanno sperimentato il nuovo modello, sostengono che nell’81% dei casi dopo un periodo di workation si sia più creativi e nel 69% dei casi si sia meno spinti a lasciare il lavoro. Per l’83%, inoltre, questo è un ottimo modo per tenere a bada il burnout e per l’84% rende più soddisfatti del proprio impiego (dati della piattaforma Workation).
Alla luce di queste motivazioni, la workation sta iniziando a farsi conoscere anche ad altre latitudini. Secondo un report di Skyscanner, quasi il 10% delle persone prevede di lavorare in viaggio, in particolare un under 34 su due preferisce questa modalità a una normale giornata lavorativa. Tra gli italiani la percentuale scende al 7%. Tra chi afferma di voler provare la workation, il 34% sostiene di farlo perché ama lavorare mentre viaggia, mentre per il 29% è un buon modo per fermarsi più tempo nella destinazione prescelta.
Laura Lindsay, esperta di trend di viaggio di Skyscanner, sostiene infatti che nell’arco del 2023, le persone renderanno il loro modo di lavorare sempre più funzionale alle esigenze personali. «Soprattutto dopo la pandemia, la direzione comune va verso uno stile di vita ibrido, flessibile e smart, con molte persone che possono sfruttare al meglio la combinazione di ferie e lavoro da remoto. Ci aspettiamo che un maggior numero di viaggiatori approfitti della lunga lista di Paesi che hanno recentemente lanciato visti per nomadi digitali, tra cui Croazia, Grecia, Messico e Spagna, per citarne solo alcuni».
Le proposte delle startup
Di conseguenza, sono nate anche molte aziende e startup specializzate nell’offrire la migliore esperienza di workation. Tra queste: Smace, nata dall’esperienza di Marta Romero e Andrea Droghetti, il cui obiettivo è trasformare l’Italia in un ufficio diffuso. Come? Mettendo a disposizione delle aziende una rete di strutture per smart worker in vari luoghi, dal mare alla montagna alle città d’arte. Elementi comuni a ogni destinazione: una buona connessione a internet e l’opportunità di organizzare escursioni o attività local come cene, visite culturali o percorsi di trekking. I funder assicurano che esperienze di questo tipo rafforzano i legami tra le persone e riducono il turnover, tanto che sono già state sperimentate da colossi come Ey, Amazon, Adecco, Sky e molte altre.
Un altro esempio è quello di MyOrango, piattaforma che aiuta i lavoratori in viaggio a trovare il posto giusto in cui vivere l’esperienza di vita e lavoro, o anche Holiwork, startup pugliese nata da Chiara Oliva e Georg Sauter che mette il meglio dell’ospitalità leccese a servizio della workation. Una meta turistica come il Salento si trasforma così a tutti gli effetti in un luogo in cui fare business, attraendo lavoratori di medio-alto livello e creando un network tra professionisti.
I rischi: sicurezza, orari e stress
Prima di salire a bordo, ricordiamo però che per le aziende organizzare la workation significa fare attenzione a tutta una serie di aspetti: l’assicurazione e la sicurezza sul lavoro, ad esempio, ma anche il fuso orario (si potrebbe decidere di circoscrivere la possibilità di fare workation solo ai Paesi con fusi orari non troppo dissimili da quelli dello Stato in cui ha sede l’azienda), la ricezione del segnale telefonico e la stabilità della rete internet (evitando rischi di irreperibilità), gli orari di lavoro e molto altro.
Al netto di tutto, restano però un paio di punti da smarcare. L’annullamento dei confini tra lavoro e vacanza è positivo per la salute mentale? Secondo il rapporto “Inside Employees’ Mind 2021”, un lavoratore su 4 che lavora in modalità ibrida, soffre di stress e workaholism, con ripercussioni negative sul benessere personale e sulle performance professionali. Harvard Business Review, del resto, sostiene che per essere più produttivi, bisogna lavorare meno. Ma difficilmente potremo raggiungere questo obiettivo se anche in vacanza continuiamo a portare dietro il lavoro.
Occorre evitare il rischio che per cercare di alleggerire il lavoro da ufficio, dunque, si ottenga il risultato contrario ovvero diventare ancor più vittime del lavorismo, del lavoro a tutti i costi. «Se così fosse – avvertono Andrea Colamedici e Maura Gancitano nel loro ultimo libro (“Ma chi me lo fa fare”, HarperCollins) – la vita finirebbe per essere ancora più compressa tra una sessione lavorativa e l’altra». Il rovescio della medaglia di modelli senza confini è rappresentato, infatti, per gli autori, dall’esatto opposto: nonostante le buone intenzioni, potremmo ritrovarci a peggiorare le condizioni psicofisiche nostre e degli altri, rendendo ancor più tossica la relazione con il lavoro. E, di conseguenza, con la vita.
Da qui, il secondo nodo da sciogliere: Aristotele diceva che “Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero”. Ma se tempo libero e lavoro coincidono, allora, abbiamo forse bisogno di riscoprire un nuovo scopo. Ma per pensare a quale scopo vogliamo raggiungere, dando (o ridando) un senso al lavoro, abbiamo bisogno di tempo. Tempo per pensare, tempo per noi. E allora l’unica soluzione è: fermarsi.