Talent management per ridurre il divario tra talenti e aziende
I datori di lavoro in Italia non corrispondono al profilo ideale dei potenziali dipendenti. Lo scarto tra le aspettative dei candidati e l’offerta è stato rilevato da diverse ricerche, tra cui la Employer Brand 2023 di Randstad che ha interrogato un campione di quasi settemila persone tra i 18 e i 64 anni di età inclusivo di studenti e lavoratori. Se, complessivamente, i lavoratori chiedono maggiore equilibrio tra vita privata e lavoro, atmosfera piacevole, retribuzioni interessanti, sicurezza del posto di lavoro e possibilità di carriera, Millennials e Gen Z-ers restano molto attenti ai valori e alla mission dell’azienda per cui lavorano: entrare a far parte di ambienti inclusivi e stimolanti è per i giovani una priorità.
I cambiamenti nel mercato del lavoro sono destinati a durare
Che il mondo del lavoro sia cambiato velocemente negli ultimi tre anni lo abbiamo scritto a più riprese, da ultimo qui, anche perché leggiamo l’esigenza di una risposta da parte delle organizzazioni che dovranno affrontare la ‘scarsità di talenti’ ancora per diversi anni. C’è, va detto, una maggiore consapevolezza del problema, come abbiamo rilevato nel tavolo di lavoro organizzato da GoodJob! con manager, responsabili delle risorse umane e addetti alla formazione. E ci sono diverse iniziative per tentare di dare una dimensione al problema e individuare gli strumenti per ridurre il divario tra le imprese e i talenti in cerca di lavoro.
Il talent management come risposta alla difficoltà di trovare risorse
Nelle scorse settimane Inaz e Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, hanno reso pubblico un questionario sul talent management a cui hanno risposto 100 direttori di risorse umane italiani. Il questionario è stato curato da Danila Scarozza, associate professor in organization studies della Link Campus University, e da Maurizio Decastri, docente di Organizzazione aziendale presso l’Università di Roma Tor Vergata. Alla domanda ‘in che modo cercate di migliorare il benessere dei talenti?’ le aziende si dimostrano concentrate sulla formazione (32,65% delle risposte), mentre il 19,39% considera anche leve come il coaching e il supporto psicologico per i propri talenti. Più basse le percentuali con riferimento alle agevolazioni per azioni di benessere (11,22%) e opportunità di esperienze professionali internazionali (12,24%). E se per rendere i talenti protagonisti del successo aziendale si mettono in campo team building, job rotation e progetti di comunicazione interna (adottati da circa un quarto dei rispondenti), il 18,6% delle imprese ha attivato anche programmi di leadership mentoring e di reverse mentoring.
Il 18,6% riserva al talent management una funzione specifica e separata, il 36,52% dedica al tema un’attenzione parziale, mentre un terzo delle aziende fa attività di brand reputation per attrarre talenti e per tenerli all’interno dell’organizzazione, utilizzando leve quali la sostenibilità (prioritaria per il 41,6% delle imprese, non prioritaria per il 44,19%), la D&I (tuttavia per il 51,6% degli intervistati, per niente o non molto rilevante), un ambiente di lavoro piacevole e che include la diversità (il 17,27%) e, infine, la crescita delle soft skill (il 16,36%).
Verso ambienti di lavoro più inclusivi
Una domanda specifica del questionario riguarda la digitalizzazione per il talent management: dalle risposte emerge in modo chiaro che per le imprese italiane questo tema incide nella fase di attrazione (estremamente importante per il 16,28% degli intervistati e molto importante per il 32,56% che è molto importante) e acquisizione (per il 9,30% è estremamente importante e per il 39,53% è molto importante). «La ricerca sottolinea quanto sia importante costruire concretamente un contesto di lavoro in cui si presta fortemente attenzione alla qualità del clima interno, al welfare aziendale, alla tutela di aspetti quali l’inclusione, la gender equality, fino alla valutazione dei valori aziendali e del suo impatto nella società e sull’ambiente» spiegano i curatori Scarozza e De Castri. «La survey 2023 ci dice molto chiaramente che l’analisi dei due fenomeni, il quiet quitting e il job hopping, dev’essere guidata da una consapevolezza profonda delle dinamiche aziendali e dalla volontà di adattarsi continuamente per costruire organizzazioni resilienti e orientate al futuro. Le dimissioni frequenti indicano certamente insoddisfazione personale o anche carenza di sviluppo professionale».
Resta molta strada da fare
Restano tuttavia, molte aree di lavoro in cui il divario non sembra assottigliarsi. Secondo la ricerca di Randstad, in Italia i datori di lavoro enfatizzano al primo punto la stabilità e la solidità finanziaria, mentre questo è un valore che per i talenti in cerca di occupazione scivola al settimo posto. Anche l’ubicazione in posizione comoda, rilevato come secondo punto per il datore di lavoro, ha davvero poco senso nell’epoca dell’economia della conoscenza, con le tante possibilità ormai consolidate di lavoro ibrido e da remoto. Infatti per i talenti è al nono posto su dieci nella scala di valori. La buona reputazione aziendale o dell’organizzazione, al quarto posto per il datore di lavoro, è all’ultimo per i talenti italiani che invece cercano equilibrio tra vita lavorativa e privata (prima posizione), atmosfera di lavoro piacevole (seconda posizione), retribuzione e benefit competitivi (terza).