Lavoratori delle piattaforme sempre più precari. Serve una legislazione europea

Dipendenti, autonomi o liberi professionisti? Per i lavoratori a servizio delle piattaforme informatiche è un dilemma che si trascina da quasi tre lustri, da quando la cosiddetta gig economy ha fatto irruzione prepotentemente nel mercato del lavoro disintermediando, o cercando di farlo, le relazioni industriali.

Nonostante l’attenzione dei legislatori nazionali e a livello europeo e centinaia di cause di lavoro, spesso sfociate in sentenze a favore dei lavoratori, poco sembra cambiato nei rapporti tra piattaforme e lavoratori. Lo dimostra anche una recente ricerca realizzata in Danimarca, uno dei mercati del lavoro più organizzati e protetti al mondo dove, spiega a GoodJob! Gerard Rinse Oosterwijk, che ne è autore insieme a Kristoffer Lind Glavind, «tutti i dati raccolti dimostrano che le piattaforme stanno cercando di evitare le normative sul lavoro e fiscali reclutando gli operatori attraverso contratti di lavoro autonomo».

L’indagine è stata finanziata dal Parlamento europeo e condotta dalla Feps, la fondazione europea per gli studi progressisti, e dalle proprie ramificazioni nei paesi del Nord Europa come progetto pilota nell’ambito di un programma di studio sull’utilizzo degli algoritmi nel posto di lavoro. In particolare, dice Rinse Oosterwijk, «è stato il consiglio economico del movimento operaio a voler effettuare ricerche su questo gruppo crescente di lavoratori e sul modo in cui influenzeranno il modello sociale danese e nordico».

Dati quantitativi per dimensionare il fenomeno

La ricerca, che sarà presentata oggi a Copenaghen e che abbiamo potuto esaminare in anteprima, è stata sviluppata nel 2023 basandosi su dati di tipo quantitativo per comprendere le dimensioni del fenomeno e le sue sfaccettature come per esempio, la quantità di lavoratori ‘autonomi’ o di aziende unipersonali collegate alle piattaforme. Lo studio utilizza tre fonti di dati: amministrativi, dati pubblici sulle imprese e dati raccolti dalle pagine web delle piattaforme.

«I dati amministrativi mostrano un evidente aumento del numero di lavoratori autonomi in settori specifici in Danimarca negli ultimi anni», afferma Rinse Oosterwijk. «Nel settore dei trasporti, dell’informazione e della comunicazione assistiamo a un aumento significativo, che è esplicitamente costituito da lavoratori giovani, non danesi e con un’istruzione limitata».

Lavoratori precari a servizio delle piattaforme

La precarietà è un tratto comune dei lavoratori coinvolti in Danimarca nel lavoro su piattaforma che operano, in parte, nella forma di società unipersonali. Mentre il numero complessivo dei lavoratori autonomi è stato relativamente stabile in Danimarca dal 2011, i dati mostrano un apparente aumento del numero questa tipologia di lavoratori in settori specifici: trasporti, informazione e nel settore della comunicazione dove c’è stato un significativo incremento composto prevalentemente da giovani, persone di origine straniera e persone con bassi livelli di istruzione.

Tradizionalmente, questi sono i gruppi di lavoratori che tendono a prestare la propria opera per le piattaforme in condizioni di lavoro precario, debole o povero, cioè privi delle garanzie di welfare assicurate ai lavoratori dipendenti. Infatti, come dimostra la ricerca, gran parte delle nuove società unipersonali sono poco o per nulla redditizie.

«Questa tendenza è chiara e possiamo affermare che il lavoro in piattaforma è ancora in aumento. È interessante vedere che forse attraverso i contratti collettivi nel contesto nordico le cose possono essere un po’ migliorate, ma abbiamo bisogno di una regolamentazione a livello europeo sul lavoro su piattaforma, che stabilisca regole chiare sullo status occupazionale di questi lavoratori. Altrimenti il gruppo dei lavoratori precari delle piattaforme crescerà, con grandi domande sulla loro vulnerabilità in particolare in termini previdenziali, fiscali e sanitari».

L’accordo tra Parlamento e Consiglio UE

Nel 2021 la Commissione europea ha proposto una direttiva per regolamentare il settore e da parte dei sindacati che hanno cercato di recuperare terreno. Le organizzazioni di lavoratori nel corso degli ultimi anni hanno promosso azioni legali sfociate in oltre 100 sentenze nei tribunali dei paesi membri che hanno – quasi sempre – riclassificato i lavoratori autonomi in dipendenti delle piattaforme.

C’è infatti la consapevolezza che le piattaforme sfruttano le lacune legislative per evitare i costi legati alla gestione del personale dipendente. In Europa, stiamo parlando di milioni di lavoratori, nel 2021 erano circa 28 milioni le persone che ricavano un reddito attraverso una o più delle circa 500 piattaforme digitali attive nell’Unione europea. Numero destinato a salire a 43 milioni alla fine del 2025. Tra questi, si stima che 5,5 milioni siano in realtà erroneamente classificati come lavoratori autonomi e quindi non hanno accesso alle protezioni e al welfare previsti per i dipendenti.

Il 13 dicembre scorso Parlamento europeo e Consiglio hanno raggiunto un accordo per varare la direttiva il cui scopo dichiarato è migliorare le condizioni di lavoro di chi opera attraverso le piattaforme. L’accordo dovrà ora essere votato dai rispettivi organismi e, in seguito, adottato dai paesi membri.

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