La trappola del busy bragging: i costi nascosti della frenesia e il fascino perduto dell’otium
Quante volte ci ritroviamo a parlare con qualcuno e sentiamo dire che quella persona ha mille impegni? E in quante altre occasioni siamo noi a dire lo stesso? Il tempo non sembra mai abbastanza: siamo tutti sommersi da una frenesia di attività che ci tiene costantemente occupati.
Il vanto di essere impegnati, noto come “busy bragging” si è affermato come un vero e proprio fenomeno sociale e culturale del nostro tempo. Nell’era dell’iper-connessione e della produttività, la quantità di occupazioni che ci assorbono è diventata la cifra del nostro valore individuale, sociale e persino di mercato, come spiega Silvia Bellezza, docente di psicologia del marketing alla Columbia Business School, che a questo tema ha dedicato uno studio sul Journal of Consumer Research.
Il carico di impegni come status symbol
L’esperta afferma che le apparenti lamentele riguardo al carico eccessivo di impegni, spesso riscontrabili sui social media, sono in realtà una manifestazione di orgoglio: essere impegnati è lo status symbol del nostro millennio, che ci fa sentire e percepire dalla società come individui importanti, richiesti e di valore. A differenza di un accessorio di lusso che ha il potere di connotarci come membri di un’élite ma resta pur sempre un oggetto esterno, l’essere richiesti è un tratto di prestigio intimamente legato alla nostra individualità.
Purtroppo, si tratta di una trappola mentale con conseguenze psico-fisiche da non sottovalutare, tra cui per citarne alcune: ansia, insonnia, isolamento. Il fenomeno è stato ulteriormente amplificato da diversi fattori come la diffusione dello smart working. È molto frequente, infatti, che le persone lavorino anche al di fuori dell’ufficio e dell’orario previsto, con una commistione non sempre equilibrata tra sfera privata e professionale. In qualsiasi momento rispondono a chiamate e controllano le e-mail, concedendosi poche pause e riducendo il tempo libero per se stessi o da trascorrere con i propri cari.
Il ruolo dei social
La circolazione eccessiva di informazioni e l’uso pervasivo dei social media aggravano la situazione: vedere continuamente tutto ciò che fanno gli altri nel corso delle loro giornate e operare inevitabilmente dei confronti alimenta sensazioni negative come frustrazione e senso di colpa, perché non stiamo facendo quanto loro.
Se ora il tempo libero è diventato uno spazio da ridurre al minimo per arginare il disagio che deriva da uno stato di improduttività e dalla percezione di mancanza di scopo, nell’epoca degli antichi romani l’otium era un ambito privilegio riservato a pochi esponenti delle classi sociali alte. Il termine non è traducibile con la nostra parola ozio, che non ne descrive propriamente il significato. L’otium si contrapponeva al negotium, ovvero al tempo dedicato agli affari della vita pubblica e politica, come momento di eccellenza scevro dalle preoccupazioni quotidiane e dedicato alle cure domestiche, della proprietà e agli studi. Un ruolo rilevante nell’otium lo detengono proprio le attività di pensiero come la lettura e la riflessione volte alla coltivazione di sé.
Scegliere il tempo per sé
Oggi più che mai questa antica concezione di “otium” può aiutarci a ripensare al tempo libero sotto una lente diversa, ossia come scelta consapevole di momenti preziosi da dedicare alla crescita personale piuttosto che come un ripiego o una condizione frustrante di inutilità.
Nel periodo post-pandemico il dibattito pubblico si è arricchito di temi legati alla salute mentale e all’importanza del wellbeing sia nella vita privata che lavorativa: parole come meditazione, benessere, gratitudine stanno guadagnando sempre più rilevanza sino a divenire una priorità nella vita di molte persone, specialmente tra le giovani generazioni. Ci sono ancora diverse sfide da affrontare per combattere il “busy bragging” ma ci stiamo muovendo nella giusta direzione.