Da manager a coach: pillole per guidare con empatia e risultati

Ottenere risultati eccellenti non basta per essere un buon gestore di talenti. Il ruolo del manager implica il coordinamento e la guida di progetti e di persone, una sfida per cui non tutti sono naturalmente portati, ma che spesso si ritrovano ad affrontare più per aspirazioni di carriera che non per una reale attitudine al coaching e alla leadership. Tuttavia, con la giusta motivazione, è possibile sviluppare queste competenze sul campo, integrando la pratica con qualche nozione relativa alle principali strategie e pratiche di coaching, come il modello G.R.O.W.

Ideato da John Whitmore, uno dei padri fondatori del coaching, è una delle tecniche più utilizzate dai coach professionisti per supportare i propri coachee (ovvero coloro che beneficiano della sessione di coaching) nella definizione degli obiettivi. Si tratta di uno strumento utile e pratico, che segue una logica iterativa: completate le 4 fasi previste dal modello, è consigliabile riprendere il processo dall’inizio.

L’acronimo G.R.O.W. significa non a caso crescere: migliorarsi ed esprimere appieno il proprio potenziale in ogni aspetto della vita, dalle relazioni personali all’ambito lavorativo, è il fine ultimo di un percorso di coaching. Il manager-coach è una figura che si concentra maggiormente nel supportare il coachee a identificare i propri scopi professionali e compiere le scelte più in linea con le proprie aspirazioni e inclinazioni, senza offrire soluzioni già preconfezionate, bensì orientandolo a trovare in autonomia quelle più efficienti e coerenti. Ecco come funziona il modello G.R.O.W. applicato a una sessione di coaching:

  1. Goals: qualsiasi percorso di crescita è mosso da un obiettivo. È fondamentale partire dal risultato che si intende ottenere ed il compito del coach è far riflettere con attenzione il coachee su ciò che desidera e sulle motivazioni profonde che lo spingono, definendo obiettivi chiari, precisi, misurabili, realistici e con un limite di tempo per poter essere raggiunti. Spesso le persone si prefiggono scopi generici e vaghi che non hanno nessuna utilità perché serve un obiettivo ben formato per costruire una strategia efficace.
  2. Reality: prima di passare all’azione, un passaggio cruciale è l’osservazione della realtà. Il coach accompagna il coachee in una presa di coscienza della propria situazione attuale, allenandolo ad entrare in contatto con il presente mediante un nuovo punto di vista. Oltre a rappresentare un importante esercizio di consapevolezza, questa fase consente di iniziare a creare un nesso tra lo stato desiderato, delineato nello step precedente, e quello reale in cui ci si trova.
  3. Options: si arriva ora alla valutazione di tutte le alternative possibili per raggiungere gli obiettivi prefissati. A questo punto, le domande potenti sono uno strumento indispensabile per il coach, il cui compito è aprire nel coachee nuovi spiragli di consapevolezza, indirizzando il suo focus su aspetti o risorse a cui non aveva mai pensato prima. Con domande potenti si intendono tutte quelle domande aperte, che non prevedono una risposta chiusa (sì/no) e che non sono ambigue, allusive o inquisitorie. Si tratta di quesiti ben formulati che devono lasciare spazio ai silenzi per consentire la riflessione e la generazione di idee da parte del coachee.
  4. Will: l’ultimo step, che significa in inglese volontà, prevede il passaggio alla fase di azione vera e propria. Le domande del coach in questo caso non sono più volte all’esplorazione degli scenari possibili ma alla definizione di un “piano di battaglia” concreto e dettagliato che il coachee si impegna ad intraprendere per traguardare il risultato desiderato.

L’implementazione di questo modello richiede la messa in gioco di diverse competenze, che spaziano dall’ascolto attivo alla comunicazione aperta per instaurare una relazione di fiducia. L’ascolto attivo, inteso come coinvolgimento consapevole e partecipativo, prevede: un’attenzione elevata, eliminando distrazioni e interferenze; l’utilizzo di domande potenti; la sintesi e la riformulazione delle informazioni raccolte per assicurare la piena comprensione dei messaggi chiave; la dimostrazione di gentilezza ed empatia verso i pensieri e i sentimenti di chi parla. Questo insieme articolato e ricco di capacità riflette una visione del mondo come luogo in cui ogni individuo possiede un talento intrinseco che può liberare e potenziare.

Per citare le parole di John Whitmore: “Il coaching è più che una serie di competenze, è uno stato d’animo che riconosce il potenziale umano e lo aiuta a fiorire.”

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