Ageless relationship, guida alle relazioni tra le generazioni

Siamo tutti, nel bene o nel male, l’età che abbiamo. Eppure, proprio il fattore generazionale, da sempre riconosciuto come un elemento identitario primario, sta diventando sempre più spesso motivo di opposizioni e contrasti professionali. Il tema è stato oggetto del panel “Ageless relationship, le relazioni in azienda tra diverse generazioni” tenutosi in occasione di Conn@ctions, evento dedicato alle relazioni umane e al networking professionale promosso da Buono&Partners, boutique di consulenza strategico-relazionale, il cui core asset distintivo è l’uso del business networking a supporto della creazione di valore per i propri clienti. Il panel, tenutosi nella sede romana di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti – main partner dell’evento –, ha visto confrontarsi Alessia Canfarini, Group Equity Partner & Head of Human Capital CoE di BIP, Isabelle Andrieu, Co-founder e Chairwoman di Translated e Nina Barreca, Learning Design Manager di Mylia.

Gestire team multigenerazionali

All’interno di una stessa azienda, e spesso di uno stesso team, convivono fino a cinque generazioni differenti, che spesso hanno difficoltà a relazionarsi le une con le altre in quanto portatrici di esperienze, visioni e linguaggi peculiari. In molti casi, anche di stereotipi e pregiudizi. In particolare, le generazioni che compongono il nuovo capitale umano sono: i baby boomers, ovvero i nati tra il 1946 e il 1965, solitamente riconosciuti come stacanovisti e fedeli alle aziende; la Generazione X, i nati tra il 1966 e il 1980, identificati come equilibrati e informali, molto attenti all’organizzazione; i Millennials, a cavallo tra il 1981-1995, la prima vera generazione ad aver vissuto un mondo del lavoro completamente diverso rispetto al passato. E ancora: la Generazione Z, che comprende i nati dal 1996 al 2011, la generazione che più di tutte sta provando a cambiare il mondo del lavoro, mettendo al centro temi come benessere, equilibrio, sostenibilità; e la Generazione Alfa, che comprende i nati dal 2011 al 2025, che promette di essere la più imprenditoriale di sempre.

Sviluppare la mentalità fullgeva

«Queste caratterizzazioni così nette possono essere lette in maniera oppositiva, creando delle gabbie che non lasciano gli individui liberi di riconoscersi come persone, più che come età anagrafiche. Dovremmo, invece, adottare la mentalità dei perennials, ovvero riscoprirci come persone definite non dalla data di nascita, quanto piuttosto dalla curiosità e dall’intraprendenza con cui ci relazioniamo alla vita» – fa rilevare Alessia Canfarini, che al tema ha dedicato il libro “Fullgevity la pienezza è la nuova longevità”. «Avere una mentalità fullgeva – spiega – significa riuscire a costruire una vita piena di relazioni, di attenzione per l’ambiente, gli spazi e la società, rimettendo al centro il fattore umano».

Per riuscire a cucire relazioni con persone di altre generazioni, una delle strategie suggerite da Canfarini – che sul tema ha pubblicato il libro “Fullgevity, la pienezza è la nuova longevità” (ed. Franco Angeli) – è quella del Bubble Hopping, ovvero uscire dalla propria bolla per incontrare persone apparentemente distanti, con cui riscoprire condivisioni essenziali sul piano dei valori e delle emozioni. Una modalità che, superate le resistenze iniziali, ha portato i team in cui è stata sperimentata a essere molto più aperti e autenticamente connessi.

Ripensare le organizzazioni

Il lavoro è sempre stato il luogo delle relazioni, il punto è capire come ricreare tali relazioni anche in uno spazio digitale e in un contesto in continuo cambiamento. «Oggi, non esiste generazione che non si senta precaria. Il lavoro sta cambiando così velocemente da generare solitudine, insoddisfazione, frustrazione. Ma proprio queste emozioni, apparentemente negative, possono beneficiare della contaminazione tra esperienze e vissuti diversi. Purché si sia disposti a mettersi in gioco, ad ascoltare, a uscire dalla propria di confort» – sostiene Nina Barreca. Una vera e propria sfida, soprattutto per chi, in questa fase così delicata, è chiamato a guidare le organizzazioni. «La leadership deve rivedere profondamente il proprio rapporto con il potere e le gerarchie. Deve mettersi essa stessa in discussione. Le pratiche da adottare possono essere numerose e richiedono una profonda revisione delle organizzazioni, nei luoghi e nei tempi del lavoro, riconoscendo che la dimensione personale, oggi, è sempre più connessa a quella professionale» – aggiunge Barreca.

Chi ha paura dell’AI?

Una delle ragioni per cui sempre più persone si sentono precarie nel mondo del lavoro contemporaneo è l’intelligenza artificiale generativa. Il senso di spaesamento generato dal suo arrivo è trasversale alle generazioni e, paradossalmente, rimette in discussione molti stereotipi. «Non sono necessariamente i più giovani a essere più abili con l’AI e, per tanto, meno vulnerabili al suo arrivo. La differenza – chiarisce la founder di Translated, Isabelle Andrieu –la farà chi sarà utilizzare con spirito critico l’AI e chi no. E questa è una competenza che si sviluppa con l’esperienza, per tanto più vicina ai senior che ai junior». Andrieu vive sul campo quotidianamente il valore della contaminazione tra generazioni diverse nel settore tecnologico, essendo a capo di una realtà da oltre 200 dipendenti. «Anche per questo, ho ben presente quanto sia importante attivare iniziative di mentoring e reverse mentoring, per far sì che le generazioni diverse non solo si parlino, ma che apprendano le une dalle altre».

Un tema, quello dell’apprendimento, che è al centro anche della sua nuova creatura: Pi Campus, società di venture capital che investe in startup early stage: «Un’esperienza nella quale posso condividere la conoscenza che ho ricevuto quando 25 anni, con mio marito, abbiamo provato a creare una startup, lavorando in ottica di give back». Del resto, è proprio la reciprocità a essere la chiave di ogni relazione destinata a durare nel tempo, anche nel mondo del lavoro.

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