A Treviso un tavolo sul talent shortage: inquadrare il problema e cercare insieme soluzioni
La difficoltà nella ricerca dei talenti da parte delle aziende nel mercato del lavoro è una problematica che ancora oggi genera evidenti ricadute negative nelle organizzazioni, senza alcuna distinzione in termini di settore o dimensioni delle imprese.
Il tema del talent shortage, che tocca imprese di ogni settore e dimensione, dopo essere stato trattato un anno fa nel primo tavolo di lavoro di GJ!, è tornato al centro di un nuovo incontro, questa volta a Treviso, realizzato in collaborazione con Unicredit, in cui imprenditori, recruiter ed esperti del settore hanno discusso di problematiche e soluzioni per comprendere le radici del problema e sviluppare nuovi approcci al mondo del recruiting. L’evento, ospitato a Palazzo Bomben il 27 settembre, è stato moderato dalla giornalista di GJ! Silvia Pagliuca e presentato da Francesca Ponzecchi, Publisher di GoodJob! e co-founder di Blum.
I numeri del problema
Si comincia con i dati: nella ricerca sui talenti in fuga presentata da Luca Romano, ricercatore di Local Area Network autore di una rubrica su GoodJob!, viene subito quantificata la portata del problema, «con il 90% delle organizzazioni multinazionali nella consulenza che faticano a reperire personale qualificato», come dichiarato in apertura da Romano. Calo demografico, monopolio dei talenti nelle multinazionali e un gap crescente tra imprese e università sono forieri di conseguenze importanti per le aziende: tempi maggiori per rendere autonomi i neo-assunti, ricerca di profili poco realistici e un’offerta di laureati che non riflette le esigenze del mercato. Romano infatti evidenzia la mancanza di giovani con titoli di studio che rientrano all’interno delle discipline STEM, «ad oggi, vero e proprio oro nero per le aziende». Una domanda non soddisfatta dal numero di laureati in Italia, che secondo la ricerca di Randstad citata da Romano nel 2024 arriva a 380 mila, un numero esiguo, ridotto ancor di più da chi invece decide di costruire il proprio percorso accademico e professionale all’estero, lasciando l’Italia.
Nella foto Anna Rita Borraccetti, Delegata GIDP Veneto e Amministratore Unico di Piessepi
L’Italia vista dall’estero
Su questa problematica interviene Umberto Belluzzo, CEO di United Italian Societies, associazione no profit che riunisce gli studenti italiani oltreconfine (qui la nostra intervista). Secondo un sondaggio interno alla propria organizzazione relativo alle opinioni degli studenti expat, «il 66% degli intervistati desidera tornare in Italia, ma a specifiche condizioni: salari troppo bassi, gerarchie aziendali rigide e una mancanza di tutele per le lavoratrici frenano il rientro di molti talenti, che pretendono un cambiamento radicale della cultura del lavoro italiana», spiega Belluzzo.
Una situazione che si riflette anche nella scarsa attrattività del mercato del lavoro italiano per gli stranieri. Alice Poggiani, Program Manager di Italian Innovation, a partire dal confronto con imprese e lavoratori esteri con esperienze lavorative in Italia conferma queste fragilità, mettendo in luce una questione puramente burocratica, legata al riconoscimento dei titoli di studio e dei visti nella nostra nazione che complica l’accesso a chi vede il proprio futuro in Italia. «C’è una grande positività all’estero per l’Italia, che gode di molto soft power, che non regge però quando gli stranieri si confrontano col nostro mercato del lavoro», conclude Poggiani.
Una società che invecchia
Se i giovani emigrano e l’immigrazione viene ostacolate, la conseguenza è l’invecchiamento demografico e un impoverimento generale dei territori. Una situazione che Silvia Oliva, Ricercatrice Senior di Anfibio, descrive attraverso i dati: «Negli ultimi 5 anni, l’Italia ha perso 100 mila persone, con importanti ricadute sull’economia e sulle imprese» dichiara Oliva. Forti squilibri anche in Veneto, dove nel mercato del lavoro le donne sono il 20% in meno rispetto agli uomini. Rilevante anche il problema dei NEET, con il 15-20% dei giovani che non studiano né lavorano, molti dei quali stranieri. Emerge anche la questione delle infrastrutture su scala nazionale, che come spiegato da Oliva non offre ai cittadini un sistema di trasporti adeguato al di fuori dei grandi centri abitati, riflettendosi sugli spostamenti legati all’occupazione svolta.
Il problema delle infrastrutture tema è molto sentito dall’azienda Rigoni di Asiago, rappresentata al tavolo dal people director, Luca Nascimben, che ha sede in un’area di montagna. Per Nascimben il problema nell’attrarre i talenti dev’essere preso in carico in primo luogo dai vertici aziendali. Particolare focus sul tema dell’empowerment, con maggiore responsabilizzazione delle diverse unità aziendali: «Si devono trasformare le persone all’interno delle organizzazioni da soldati a imprenditori, gestendo con efficacia e autonomia la propria mansione. Nelle aziende questo non si fa per paura di perdere potere e controllo». Per Nascimben, se esiste un allineamento tra purpose individuale e aziendale, il talento funziona.
Concentrarsi sulle risorse interne
Anna Rita Borraccetti, Delegata GIDP Veneto e Amministratore Unico di Piessepi, torna sul tema della mancanza di contatto tra aziende e università: «Il distacco tra le due realtà non è niente di nuovo, se ne parla da trent’anni. Forse si dovrebbe partire da prima, ragionando sull’orientamento nelle scuole superiori». Prosegue poi evidenziando la mancanza di sostegno ai giovani, che si confrontano con richieste e modelli di un sistema lavoro ormai datato e poco orientato alla loro formazione: «Rispetto al trattenere i talenti, coaching e talent coaching vengono fatti a fine carriera, che serve a poco: sono necessari mid career term, upskilling e reskilling, cercando di seguire le risorse interne per evitare che abbandonino il proprio posto di lavoro a 10 anni dall’assunzione. Tutto questo in molte realtà non viene fatto».
Sul tema delle azioni interne a supporto dei dipendenti, interviene Francesco Mario Iannella, regional manager Nord Est di Unicredit: «C’è poca managerializzazione nelle imprese, le aziende piccole non sono preparate a gestire efficacemente il personale. Anche nella nostra organizzazione la situazione è cambiata, nei colloqui è la banca a dover andare bene al lavoratore, non viceversa». Iannella presenta così Discover Unicredit, in cui si creano momenti di aggregazione tra i candidati, presentando l’azienda. Soluzioni anche per il dialogo con le università, grazie al programma Nextgen, che coinvolge 250 ragazzi per la realizzazione di progetti in collaborazione con le imprese. Iannella conclude evidenziando la necessità nel concentrarsi sulle risorse interne, portando a percorsi di carriera migliori.
E proprio la gestione interna del talento e l’attenzione alle proprie risorse è il focus dell’intervento di Lorenza Pellegri, Ceo ed Executive coach di Leadagious, che illustra il valore dell’energy leadership, un approccio che valuta l’attitudine e l’influenza del singolo all’interno dell’organizzazione, valorizzando la collaboratività tra i dipendenti.
Un chiaro indirizzo verso una maggiore consapevolezza nei confronti delle risorse già presenti in azienda, confermato anche da Nicola Bertin, Senior Partner di EHR Italy. Tuttavia non è solo l’azienda a dover fare la propria parte: «Se parliamo di questioni legate alle disuguaglianze nelle aziende, non c’è mai stato alcun legislatore che abbia sviluppato politiche su questo fronte. Guardiamo ai congedi di maternità: senza agevolazioni e sgravi per le aziende, il problema resterà sempre lo stesso».
La concorrenza delle multinazionali
Spesso però, investire risorse per la gestione interna non basta, soprattutto quando a fare concorrenza per accaparrarsi i talenti sono le multinazionali. È il caso di Mobisec, azienda nel settore IT il cui CEO Simone Rebeschini espone proprio questa problematica: «Il problema arriva quando l’azienda si impegna a formare i talenti e verticalizzarli, facendoli diventare molto attraenti sul mercato. Se a contendersi i lavoratori sono le multinazionali, il confronto in termini di risorse per attrarre i lavoratori non regge».
Per coinvolgere i giovani però, è necessario anche comprendere le loro esigenze, sfatando il mito delle nuove generazioni che guardano solo al reddito. Stefano Ziroldo, Direttore Generale ITS Digital Academy Mario Volpato, rinnova il valore di avvicinarsi alle nuove generazioni, concentrandosi in primis sulla loro formazione come persone: «In un contesto aziendale deve esistere un imprenditore capace di concedere le giuste responsabilità anche ai giovani, integrandoli in progetti con sempre più autonomia. Per trattenerli in azienda, bisogna credere in loro. Bisogna fare i conti poi con la volontà dei ragazzi di cambiare solo per il gusto di farlo. Se ci sono maggiori opportunità, si prendono la libertà di vivere esperienze differenti, una questione che le aziende possono circoscrivere, non annullare».
Nella foto Alice Poggiani, Program Manager di Italian Innovation
Soluzioni pratiche da adottare
A concludere è Paolo Gubitta, Professore dell’Università di Padova e Direttore Scientifico CIF di CUOA Business School, che nel suo intervento tira le fila del discorso. Gubitta incasella così le azioni che un’azienda deve intraprendere per contrastare il talent shortage: «Adottare politiche di orientamento, rivalutando il mercato interno del lavoro. Evitare di ricercare le competenze perse dei dipendenti in uscita aspettandosi le stesse capacità dai dipendenti in entrata. Trovare nuovi bacini di reclutamento, guardando al di fuori dei mercati consolidati, insegnando alle imprese dove ricercare dipendenti. Fare del mentoring un’azione continuativa, non solo a fine carriera, adottando anche il reverse mentoring (feedback dei dipendenti rispetto ai propri dirigenti) e, infine, dare maggiore fiducia ai giovani, responsabilizzandoli».