Congedo di paternità esteso, le sperimentazioni funzionano: i dati di un report di Tortuga

In Italia, il congedo di paternità dura 10 giorni, mentre alla maternità sono riservati 5 mesi. Questa evidente sproporzione riflette una dinamica che, in Italia, non garantisce la parità tra le responsabilità dei due genitori. Senza una politica che assegna, indipendentemente dal genere, permessi e congedi genitoriali, le prospettive porteranno sempre di più ad una riduzione della natalità e ad un’ingiusta disincentivazione delle carriere femminili.

Sono queste le premesse con cui il think tank Tortuga ha aperto il report “Verso una Genitorialità Condivisa”, dedicato particolarmente allo status dei congedi di paternità. La ricerca, articolata su due fasi, ha coinvolto inizialmente 22 rappresentati delle risorse umane per comprendere le politiche già in atto, per poi arrivare alla somministrazione di un questionario a oltre 1600 dipendenti di 12 aziende.

Gli obiettivi dell’indagine

Secondo Tortuga, l’obiettivo della ricerca è rivalutare significativamente la durata del congedo di paternità. Bilanciare questa differenza permetterebbe quindi di essere avviati verso politiche più paritarie, garantendo una ripartizione equa tra gli obblighi genitoriali e le aspirazioni professionali. Tra le azioni concrete, Tortuga propone il mantenimento al 100% della retribuzione durante il congedo, l’estensione della durata oltre ai 10 giorni, l’introduzione del concetto di padre come secondo caregiver e, infine, dell’utilizzo del permesso nei primi 12 mesi dopo la nascita, rispetto ai 5 mesi attualmente concessi.

Dati sul congedo (chi lo usa, chi no e perché)

Dai dati forniti dalle risorse umane, emergono diverse caratteristiche relative ai congedi di paternità estesi. Si tratta in primis di politiche recenti, introdotte in seguito alla Pandemia del 2020. Non sono infatti disciplinate ufficialmente, ma eterogenee in relazione al luogo di lavoro: oltre al congedo di paternità previsto a livello nazionale, la durata dell’estensione può oscillare da 1 a 26 settimane.

Rilevante è anche il riscontro positivo, sia per le aziende che per i dipendenti. Il 71% dei dipendenti intervistati aderirebbe infatti al congedo esteso, con una maggior volontà riscontrata dai padri più giovani, senza soluzioni di lavoro da remoto e con maggiore sensibilità alla parità di genere. Osservando i dati, la ragione principale è infatti il supporto al partner nel primo anno di vita del nascituro, che raggiunge l’87%. A seguire, la volontà di essere presenti nella vita dei propri figli (81%) e la condivisione del momento con il partner (68%).

Per chi rifiuterebbe questa soluzione, ossia quasi il 30%, le ragioni sono molteplici: alcuni temono l’impatto negativo sulla loro carriera (48%), altri vengono influenzati dai colleghi che non hanno utilizzato il congedo (45%) e, come ultimo dato rilevante, il carico di lavoro non permette di assentarsi (20%). Inoltre, quasi 1 padre su 4 che ha aderito al congedo è stato scoraggiato da almeno una persona tra quelle più vicine a lui (dal partner agli amici).

Cosa succede dopo il congedo

Nonostante i dubbi da una parte ancora consistente del campione, per gli intervistati che hanno sperimentato questa soluzione c’è poco spazio per l’indecisione: tutti i rispondenti riutilizzerebbero il congedo esteso, mentre il 96% di chi non lo ha ancora utilizzato è pronto a farlo in futuro.

I vantaggi  interessano maggiormente l’equilibrio familiare e la suddivisione delle responsabilità tra i diversi partner: ridistribuzione del carico di lavoro domestico, legame più stretto con i figli, partner più serena e una maggiore fattibilità di avere figli rientrano tra questi. Dopo il congedo, cresce inoltre la sensibilità sul tema, con maggiori richieste alle aziende, tra cui l’estensione del periodo (28%), la flessibilità nell’utilizzo (38%) e infine l’obbligatorietà della sua istituzione. La vasta maggioranza dei partecipanti al questionario infatti (96%) concorda con l’estensione del congedo a livello nazionale.

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