Giornata Internazionale degli stagisti, l’intervista a Eleonora Voltolina: «anticipiamo la Direttiva europea e consideriamo le complessità del nostro mercato del lavoro»
La Fair Internship Initiative, organizzazione internazionale dedicata alla tutela delle condizioni lavorative degli stagisti, ha indetto per il 14 novembre la “Giornata internazionale dello stagista”, un’opportunità di riflessione su questa classe di lavoratori, principalmente giovani, che ogni giorno affrontano le difficili dinamiche del mercato del lavoro. Per approfondire il tema, abbiamo intervistato Eleonora Voltolina, fondatrice della Repubblica degli stagisti, che dal 2009 in Italia difende i diritti di questa categoria, con importanti risultati sul piano legislativo.
Iniziamo parlando del tema della precarietà, la Repubblica degli stagisti nasce nel 2009 allo scopo di denunciare le condizioni di sfruttamento a cui sottostavano gli stagisti in Italia. Dalla sua fondazione, pensi che le condizioni di questa categoria di lavoratori siano cambiate?
Sicuramente c’è stato un cambiamento. Faccio prima di tutto una piccola precisazione: gli stagisti non sono lavoratori, ma agiscono nel mercato con una qualifica imprecisa, a cavallo tra la formazione e il lavoro. Non essendo lavoratori, non possono accedere a tutta una serie di diritti e tutele. Dal 2009 e nei primi anni di attività, noi della Repubblica degli stagisti venivamo definiti come “il sindacato degli stagisti”, perché non c’era nessuno che si occupasse del tema. Da allora diverse cose sono cambiate, in primis l’attenzione mediatica rispetto a questo tema. Oggi è facile trovare articoli che parlano delle condizioni degli stage, ma quindici anni fa non era affatto così: la tematica restava spesso sotto traccia.
Cosa è stato fatto in ambito legislativo nel corso di questi anni?
Abbiamo ottenuto ottimi risultati. Tra i più importanti, una normativa attorno al 2012 ha vietato gli stage gratuiti per i percorsi extracurriculari. Non è il massimo, la competenza regionali nella gestione degli extracurricolari fraziona significativamente il quadro normativo: ci son perfino due leggi diverse in Trentino Alto Adige, una per ciascuna delle province autonome! Soprattutto riguardo all’indennità mensile le differenze sono macroscopiche. Per fare un esempio, in Sicilia l’indennità minima per uno stagista è di soli 300 euro, mentre nel Lazio non si può pagare meno di 800 euro al mese: più del doppio. Ovviamente, questo non riguarda i tirocini curricolari, che ancora oggi sono sprovvisti di molte delle tutele citate.
Bisogna poi considerare l’esplosione numerica degli ultimi anni. Se nel 2009 ci rivolgevamo a una platea di circa 200 mila stage extracurricolari, negli ultimi anni sono stati raggiunti picchi anche di 330-340 mila stagisti all’anno. E a questi numeri vanno poi aggiunti i curricolari, il cui numero è molto più difficile da determinare. Vorremmo informazioni più dettagliate su questi percorsi, con maggior trasparenza, per poter valutare la dignità delle condizioni offerte: ma non c’è nessuna rilevazione sistematica e pubblica dei tirocini curricolari, per i quali non vige l’obbligo di comunicazione obbligatoria.
Parliamo del confronto con i paesi esteri, i dati sembrano confermare che le posizioni entry level negli altri paesi, almeno in termini retributivi e di assegnazione di responsabilità, siano nettamente migliori rispetto all’Italia, sei d’accordo?
Non sono d’accordo su questa riflessione. Se guardiamo ai dati sì, sicuramente il tema della fuga dei talenti all’estero è reale, soprattutto da parte di giovani con livelli di istruzione molto alti. Tuttavia il problema della qualità degli stage non riguarda solo l’Italia, ma investe tutta l’Europa. Da molti anni stiamo lavorando anche a livello internazionale, supportando l’attività di Brando Benifei, eurodeputato che da tre mandati guida la battaglia per i diritti dei tirocinanti. Ci sono stati grandi passi avanti, tra cui due risoluzioni europee che hanno condannato esplicitamente gli stage gratuiti. A giugno ci sono state le elezioni, le istituzioni europee si stanno riorganizzando e riprendere le iniziative lasciate in sospeso: per gli stagisti ci sono in ballo una Direttiva e una Raccomandazione che sono state presentate in bozza nella scorsa legislatura europea ma che in questa legislatura dovranno essere discusse, approvate e rese ufficiali. L’Italia insomma non è l’unica ad avere il problema dello sfruttamento degli stagisti. Ma certamente la sostenibilità economica degli stage in molti Paesi è più tenuta in considerazione: per esempio le istituzioni europee hanno programmi di stage con indennità mensili generose. Mentre in Italia abbiamo ancora la Camera dei deputati e vari ministeri che organizzano programmi di stage gratuiti senza nemmeno un po’ di vergogna.
E per quanto riguarda la questione delle responsabilità e dell’avanzamento di carriera?
In Italia c’è riluttanza nel dare responsabilità ai giovani, e quindi si fa carriera più lentamente. Inserito in un contesto europeo, un giovane italiano percepisce di avere più opportunità: c’è più abitudine a dargli fiducia, a valorizzare le competenze e non avere paura di una crescita professionale più rapida. La situazione italiana riflette ancora una mentalità gerontocratica, poco incline all’innovazione. Bisogna “fare la gavetta”: i giovani non devono pretendere troppo, devono subire, come se la giovinezza andasse scontata e non valorizzata. La differenza sostanziale degli stagisti italiani rispetto agli altri Paesi è che per l’estero il mercato del lavoro è più dinamico, l’eventuale esperienza di “sfruttamento” dura poco ed è limitata a determinati settori: poi si parte più facilmente con la propria carriera.
Recentemente sei intervenuta alla Camera dei Deputati, parlando del recepimento delle direttive europee e delle regolamentazioni sul tema dei tirocini. Puoi darci qualche informazione in più su questo intervento?
In audizione alla Camera abbiamo parlato della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento e alla garanzia del rispetto delle condizioni di lavoro dei tirocinanti e alla lotta ai rapporti di lavoro regolari camuffati da tirocini, e della proposta di raccomandazione del Consiglio su un quadro di qualità rafforzato per i tirocini. Ma come dicevo, sia la Raccomandazione sia la Direttiva sono solo in una fase di bozza per ora. Ma io penso: perché aspettare che l’Europa ci obblighi a fare delle riforme? L’Italia, unitamente alla Francia, una dozzina d’anni fa è stata il primo Paese europeo a introdurre l’obbligo del rimborso spese, grazie a una battaglia di avanguardia. Anticipare questi interventi potrebbe rappresentare un’ottima opportunità per il nostro Paese di dare l’esempio agli altri. Tuttavia, non riscontro purtroppo grande interesse da parte dei parlamentari italiani nell’anticipare gli obblighi europei. Realisticamente, un cambiamento significativo arriverà solo con il recepimento della Direttiva. Quindi tra almeno due anni.
Quali sono le azioni che uno stagista può compiere per migliorare la propria condizione? Il fenomeno delle grandi dimissioni e il problema del talent shortage fa pensare che molti giovani stiano rifiutando impieghi sottopagati nella fase iniziale della loro carriera. Dal suo osservatorio condivide questa affermazione, e se sì lo interpreta come un segno di maggiore consapevolezza da parte delle giovani generazioni?
Sicuramente nel mercato del lavoro “post pandemia” c’è una maggiore attenzione da parte delle persone al fatto di lavorare in aziende di cui condividono i valori, e ad avere un giusto bilanciamento tra tempi di lavoro e tempo per sé. In molti Paesi questo ha portato al fenomeno delle “grandi dimissioni”, in Italia un po’ meno, anche perché il nostro mercato del lavoro è debole: le persone ci pensano bene prima di dimettersi. Comunque questo nuovo “spirito critico” fa sì che oggi i giovani di fronte a un’offerta di stage o di lavoro considerino aspetti impensabili anche solo dieci anni fa. Ma bisogna anche sempre ricordare che in Italia il mercato del lavoro viaggia a due velocità: da un lato, i lavoratori con competenze richiestissime dal mercato, soprattutto in ambito delle discipline STEM, contesi e “coccolati” dalle aziende. Parliamo di un segmento di popolazione avvantaggiato rispetto agli altri, proprio in ragione delle competenze. Al di fuori di questa cerchia, abbiamo altre categorie, dai laureati in discipline più “deboli” dal punto di vista lavorativo, a chi ha titoli di studio bassi, a chi ha accumulato periodi di disoccupazione magari anche lunghi, fino ai NEET, giovani che non studiano e non lavorano. Se non si considerano anche queste categorie, rischiamo di raccontare solo una porzione dell’Italia, in un modo che non riflette la realtà vera delle cose. Quando affrontiamo il tema del mercato del lavoro, dobbiamo farlo considerando le complessità, evitando le rappresentazioni “in bianco e nero”. E dobbiamo pensare a come si può creare un bel mercato del lavoro, competitivo ed efficiente, ma senza calpestare i diritti delle persone: a cominciare dagli stagisti.