La preghiera per l’azienda inclusiva
Sono circa le 12 del mattino mentre camminiamo nelle corsie obbligate della produzione tra i rumori delle macchine da taglio e l’odore dell’acciaio saldato, molti lavoratori si accingono a fare pausa. La mensa è il primo porto franco per la propria sosta, le cuoche stanno già allestendo la sala, i distributori, come sempre, faranno da sfondo alle chiacchiere e al caffè prima di ricominciare, altri invece escono, la boccata di nicotina ha la meglio, circondano i posacenere allestiti all’esterno e fumano tranquillamente.
Un gruppo di lavoratori si stacca dai colleghi e si ritira in un altro spazio adibito per la pausa, è un ufficio dismesso che oggi tutti chiamano impropriamente ‘La Mecca’. Sono circa una ventina di dipendenti di diversa etnia ma di religione musulmana a popolarla per circa una quindicina di minuti. È il loro rito, millenario, fondamentale per la loro tradizione e la loro fede. Pregano in direzione della Mecca sentendosi un po’ a casa, rispettando il loro dogma, usufruendo senza sconti della loro pausa lavoro, tornando poi all’operatività quotidiana, con uno spirito più leggero dopo la meditazione.
Siamo a Castiglione delle Stiviere, ultima delle cittadine mantovane al confine con il territorio bresciano e veronese, precisamente in Cifa, azienda con sede in provincia di Milano, nata nel 1928 con la famiglia Ausenda, dal 2008 parte del gruppo industriale cinese Zoomlion Heavy Industry e oggi conta più di 700 dipendenti suddivisi sui 4 stabilimenti italiani. Il sito produttivo metalmeccanico mantovano in cui ci troviamo è popolato da più di 230 persone suddivise tra i vari reparti di montaggio carpenteria e collaudo. L’ambiente è dinamico, vivo di persone differenti, moltissime che hanno già visto un susseguirsi di generazioni che oggi popolano la fabbrica dando continuità e rendendola multietnica e sicuramente multiculturale. La crescita di personale di questi anni è stata circa del 100% anche grazie ad un secondo stabilimento limitrofo, sempre del gruppo Zoomlion.
Se finora il tema era attrarre talenti ora si è spostato su come trattenerli
Il tema del personale e della sua ricerca è stato ed è tuttora uno dei punti cardine maggiormente sentiti come per la maggior parte delle aziende del Nord Est e se, inizialmente, il problema era cercare nuovi candidati ad ora il punto di vista sta cambiando: trattenere i lavoratori è diventato sicuramente uno degli obiettivi più importanti.
Il benessere è una delle tematiche chiave per risolvere il quesito «come possiamo trattenere i nostri dipendenti?». In un mondo dove le contro offerte hanno spopolato, dove la risposta più scontata, semplice immediata è il rialzo economico, la conquista del candidato a suon di euro in più è diventata improvvisamente sterile, a volte fine a stessa spesso bilanciata ad altre necessità: la distanza casa-lavoro, la formazione e la crescita in termini di competenze, la flessibilità oraria, la mensa aziendale…
Sembra lampante che oggi il candidato abbia bisogno di sentirsi non più un mezzo per portare profitto e ottenere una mensilità ma che sia il suo lavoro a diventare un mezzo per vivere al meglio la sua vita, che lo possa far crescere come professionista e che l’investimento in termini orari di presenza in azienda sia per quanto possibile un piacere senza vivere la costrizione di un clima stantio e vincolato. Una delle chiavi per capire quanto un adulto oggi possa sentirsi bene in un ufficio o in una officina è chiedersi quanto questo ambiente lo faccia sentire accolto nelle sue necessità nei suoi bisogni. Tocchiamo un concetto particolare, l’inclusione, che accompagna costantemente il tema della diversità.
Cosa si intende oggi per diversità?
L’attenzione è spostata sulle differenze di genere, di etnia, di religione, di orientamento sessuale, sulla disabilità, nelle differenze di età e di estrazione sociale, e le politiche aziendali oggi devono tener conto di nuove dinamiche nella gestione delle proprie risorse. Non servono solo leggi emanate e ormai diffuse a rendere obbligatorio il tema del rispetto di categorie maggiormente sensibili. Serve una politica di inclusione e di accoglienza che veda nella diversità un valore che arricchisca e nell’accoglienza un metodo sostanziale di rendere sereno, aperto e condivisibile l’ambiente di lavoro, in cui sentirsi ‘bene’ e potersi sentire parte della propria azienda.
Ecco perché aver riservato una stanza per le preghiere di una parte dei dipendenti non è solo un segno di rispetto, ma diventa un’azione parte di una strategia di gestione delle risorse umane. Quando ho chiesto al responsabile come è nata l’idea di questo spazio, mi ha risposto in totale franchezza che non gli piaceva vedere le persone pregare vicino alle loro postazioni in spazi poco pratici, inginocchiati a terra su un pavimento sporco che ha raccolto il lavoro della mattina. Pregare in quel modo non è dignitoso, per loro è fondamentale, a noi non cambia nulla gestire pause che sono un diritto del lavoratore, in una modalità diversa. Si è confrontato con l’RSU aziendale e la direzione e si è condivisa una linea di accoglienza alla loro necessità, restituendo un spazio che li faccia sentire capiti e organizzati nel loro momento spirituale.
Una spinta all’inclusione
Mi sono domandata se dopo questo contributo ai musulmani ci sono stati problemi o rivendicazioni di altro tipo. Nessuna polemica allarmante, nessuno ha sindacato sulla gestione della pausa e dello spazio; altri lavoratori di altre religioni si sono però sentiti maggiormente più confidenti nel chiedere qualcosa per loro.
I dipendenti di confessione ortodossa oggi usufruiscono di un giorno di ferie di gruppo durante la loro Pasqua, mentre gli induisti hanno richiesto mezza giornata di rol per celebrare la Holi, la festa dei colori. La gestione di permessi di gruppo ha comportato un’organizzazione dell’attività produttiva ma sapendolo per tempo riescono a gestire i carichi di lavoro e i dipendenti possono avvalersi delle loro ferie per portare avanti tradizioni personali, momenti in famiglia vissuti in nuove modalità che faranno sentire più vicini alla propria terra lontana.
Anche questa è inclusione, non far percepire la diversità come problema ma portare una cultura aziendale improntata alla normalizzazione delle esperienze e delle differenze al fine di costruire un clima di team, di benessere e rispetto in un luogo dove si trascorrono più di 40 ore la settimana, investendo tempo e energia nella realizzazione degli obiettivi produttivi, sfidanti e intransigenti, concorrendo con il proprio team al successo e sentendosi allo stesso tempo parte dell’azienda e del gruppo.
Laureata in sociologia, Silvia Moretto lavora da 15 anni nella selezione del personale