Adattabilità: allenarsi al futuro del lavoro
Secondo il rapporto 2024 di Linkedin sulle Most in Demand Skills, l’adattabilità è la competenza più importante per il futuro del lavoro. Eppure, è una delle skills più difficili da sviluppare. GoodJob! in collaborazione con EggUP, ha riunito nella Sede Giubileo dell’Università LUMSA a Roma, quindici esperti ed esperte del mondo del lavoro per riflettere su come aiutare i singoli e le organizzazioni ad adattarsi efficacemente ai cambiamenti. Il tavolo si è svolto nel contesto di EggupLAB, il laboratorio di EggUP sulle soft skill, che ha realizzato un focus proprio sul tema dell’adattabilità frutto di un team guidato dai due direttori scientifici del progetto, i professori Antonino Callea e Flavio Urbini.
Ad aprire i lavori: Francesca Ponzecchi, publisher di GoodJob! e Claudio Bonaccurso, Responsabile Relazioni Istituzionali Data Management, che ha sottolineato l’importanza di acquisire una mentalità flessibile in ogni settore. Ma l’adattabilità è una dote innata o si può allenare? Secondo Biancamaria Cavallini, Board Member & Operations Director Mindwork, il primo passo è conoscersi, acquisire consapevolezza rispetto alla propria storia pregressa e identificare le zone di disconfort. «Prima di aggiungere, dobbiamo liberarci delle rigide credenze su cui abbiamo costruito la nostra identità professionale. Solo così potremo “hackerarci” per affrontare tutto ciò che non dipende dal nostro controllo o dalla nostra volontà».
Per Marco Poggi, presidente di Mida, il fatto che si richieda un continuo adattamento alle persone, anziché incoraggiarle ad abbandonare la propria stabilità, ne aumenta le paure. Per questo, l’adattabilità, se intesa come accettazione, è una richiesta generatrice di sofferenza. «L’adattabilità su cui investire, invece, parte dal pensiero critico, dalla costruzione di contesti lavorativi valorizzanti e innovativi. Dobbiamo recuperare il tempo interiore, la capacità di stare». È, questa, una responsabilità sia individuale che collettiva: «Ci concentriamo molto sul capitale umano, ma la stessa organizzazione deve facilitare l’adattamento. La parola chiave è: interdipendenza. Dobbiamo costruire un puzzle ed è un percorso molto complesso da attivare» ha chiarito Francesca Quintiliani, R&D Coordinator di Mylia.
Le soluzioni proposte possono essere diverse e rendere le organizzazioni adattive significa agire sia sui processi che sulla cultura, come ha sottolineato Stefano Marchese, VP EFI. Un’evoluzione verso modelli meno tradizionali che portano a mettere in discussione strutture classiche come quelle dei job title: «Rischiano di ingabbiare le persone, anziché farle evolvere» ha aggiunto Nicholas Napolitano, Business Developer & Innovation specialist Fastweb. «Tutti corriamo dietro a delle definizioni, ma diamo per scontato le mappe. È da qui che dobbiamo partire per riorientarci. Dobbiamo – ha sottolineato Riccarda Zezza, Founder di Lifeed – tornare a guardare all’essere umano, oltre le etichette. E ricordare che la nostra identità è frutto delle esperienze che viviamo, sul lavoro ma non solo». Per questo, secondo Zezza, anche il concetto di leadership dovrebbe essere messo in discussione.
Tutto questo richiede l’attivazione di uno spirito critico, l’intenzione di aprirsi al confronto. «Il lavoro, dal post Covid in poi, ha cambiato significato: sia gli individui che le aziende devono tornare a riconoscersi. Dobbiamo aiutare le persone a comunicare e far sì che anche attraverso l’abbattimento di barriere formali, si crei un ambiente di lavoro positivo e coinvolgente» ha confermato Angelica Brasacchio, co-founder di The Badge App. In questa missione, entra in gioco il welfare nella sua forma più evoluta: «Il corporate wellbeing permette di agire sulla vita privata e creare senso di apparenza: due aspetti che favoriscono l’adattabilità» ha aggiunto Andrea Catania, Manager Area Consulting presso DoubleYou.
Secondo Alessia Canfarini, Equity Partner BIP ed Head of Human Capital adottare una mentalità adattiva, significa impegnarsi nell’apprendimento continuo e “imparare a imparare”. «Uno dei modelli più efficaci è il bubble hopping, ovvero il ragionare sul “contro algoritmo”, portando le persone a diretto contatto con la diversità. Più siamo immersi nella diversità, più impariamo, soprattutto su di noi». Un settore distante apparentemente dal mondo del lavoro, eppure al tempo stesso molto vicino è quello dello sport: «Gli atleti ci insegnano ad andare oltre i nostri limiti, a potenziarli e farli evolvere, riconoscendo nel disconfort un valore assoluto. Purchè – ha puntualizzato Enrico Gelfi, founder Workpleis – gli HR non usino gli sportivi come fossero poeti. Dobbiamo investire sulla cultura dell’azienda, giorno per giorno, non solo in una sola occasione».
Riconoscere il disconfort e usarlo come un’opportunità di cambiamento è ancor più importante oggi, immersi come siamo nella sfida delle nuove competenze: «L’AI è un’onda che non potremo fermare e lo stesso vale per la cybersecurity. Eppure, ne siamo ancora molto spaventati o quanto meno diffidenti. Solo quando ne comprenderemo la portata, potremo lavorare su noi stessi per acquisire queste skills» ha spiegato Marco Rosci, cofounder e CMO di Epicode. Il tutto, con la consapevolezza che oggi, la formazione passa anche da modalità innovative basate sulla realtà virtuale, come ha aggiunto Matteo Zaralli, founder di Vrainers, ricordando che i metodi di apprendimento che usiamo oggi non sono efficaci, mentre la realtà virtuale può aumentare di quattro volte la nostra capacità di apprendimento.
In definitiva, come ha concluso Francesca Corrado, founder dalla Scuola del Fallimento, «adattarsi significa accettare la trasformazione e, di conseguenza, la fallibilità. Perché quando cambia la cultura dell’errore, sorprendentemente anche la performance migliora».