Cecilia Manzo, come cambiano i confini del lavoro: «Per lasciare le città servono i servizi»

Dove tracciamo il confine degli spazi di lavoro nelle città contemporanee? E dove lo tracciamo nella dimensione del tempo, nell’era degli slot, delle riunioni da remoto e delle agende condivise sempre più estese? Sono alcuni temi al centro della riflessione di Cecilia Manzo, ricercatrice in sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università Cattolica di Milano, che ne ha discusso di recente in un incontro dal titolo “Oltre Milano: oltre confine” promosso da Cosmico, startup HR Tech, a Milano.

Dottoressa Manzo, partiamo dai confini spaziali del lavoro: come sono cambiati negli ultimi anni, anche in conseguenza dell’accelerazione impressa dal Covid?

Il rapporto tra lavoro, spazio fisico e città è di lungo corso. All’inizio degli anni ‘90 un gruppo di studiosi in collaborazione con l’Istat ridisegnarono i confini dell’Italia sulla base degli spostamenti casa-lavoro. Quella ricerca sui “Sistemi locali del lavoro” aveva l’obiettivo di studiare i fenomeni economici e di sviluppo locale basandosi sui confini legati al lavoro. Oggi, nell’era post-Covid, parliamo invece sempre più di confini che vengono meno e di un ridisegno dei nostri spazi di lavoro. Si tratta di una trasformazione più profonda e radicale, che era già in corso, fondamentalmente legata alla tecnologia. Il Covid ha dato un’accelerata “distruggendo” la relazione tra spazio e tempo. Il nostro tempo di lavoro, in tanti tipi di occupazione, non è più legato allo spazio fisico ma alla possibilità di avere disponibilità di un device e di una connessione.

Qual è l’impatto di questa trasformazione sugli spazi urbani?

Si ampliano le scelte di residenza, si mette in discussione il rapporto con la città. Grazie a infrastrutture tecnologiche e di mobilità si può scegliere se vivere vicino al posto di lavoro o meno. I dati di un’indagine dell’Istituto Toniolo sulla città di Milano e la sua cintura ci offrono spunti di riflessione validi anche per altre aree urbane. La trasformazione resa possibile dalla tecnologia rende più soddisfatti i lavoratori che risiedono fuori Milano, in centri medio-piccoli, ma che si devono recare nella metropoli per lavoro. Nonostante questo, però, le imprese non rinunciano ad avere la loro sede in città, perché lo ritengono strategico. Un discrimine rispetto alle preferenze dei lavoratori è dato dal titolo di studio: chi ne ha uno di livello medio-alto è più disponibile a trasferimento fuori Milano, lo è meno chi ha un titolo di studio inferiore.

Questa differenza può essere legata al fatto che i titoli di studio inferiori spesso danno accesso a mansioni che prevedono necessariamente la presenza fisica, ad esempio lavori manuali?

Esatto, non tutti i lavori sono interessati dalla “fine dei confini” e da una ridefinizione di spazio e tempo.

Come si ridefinisce la gerarchia delle città in questo nuovo contesto?

Nel caso di Milano anche gli studi fatti post-Covid confermano la sua forza centripeta: i lavoratori, nonostante il contesto cambiato, continuano a sceglierla per vivere, così come le imprese. In generale sulle città contano i fattori attrattivi, i servizi di cui dispongono, le infrastrutture, ma anche, dal punto di vista delle imprese, la presenza di capitale umano qualificato, la presenza di Università e di altre imprese. Le città mantengono la loro competitività anche in base a questi fattori.

Parlando ora dei “confini” nella dimensione temporale, esistono ancora quelli tra lavoro e vita privata?

In questa dimensione persiste un gap di genere che non riusciamo a colmare, in termini di tempo impiegato nel lavoro di cura che fino a una certa fascia di età riguarda i figli, e oltre riguarda la cura degli anziani. Questo lavoro di cura interessa più le donne che gli uomini. Poi, se guardiamo al lavoro da remoto, notiamo un’ambivalenza: in alcuni casi questo facilita la conciliazione vita-lavoro, ma d’altra parte genera una caduta dei confini tra tempo dedicato alla vita privata e alla carriera. Lo smartphone, con le notifiche attive a le email di lavoro, ci riporta a una dimensione lavorativa anche nei momenti liberi. Il diritto alla disconnessione è un tema su cui si sono interrogate tante aziende e si sono battuti i sindacati, e riguarda tutte le professioni. Prendiamo l’esempio di Whatsapp: se un turno di lavoro viene comunicato via chat fuori dall’orario di lavoro, a livello psicologico questa notifica va a influire sul nostro tempo libero. È qualcosa che deve essere regolato dalle imprese, e a volte viene fatto.

Tornando alla dimensione spaziale, quali strategie possono mettere in atto i territori “periferici” per limitare l’emorragia di giovani studenti e lavoratori?

Negli ultimi anni abbiamo parlato molto di “South working” e borghi, abbiamo letto storie di persone che lasciavano la grande città in cui si erano trasferiti, per cercare una vita più gratificante. Dai dati vediamo che le persone più disponibili a spostarsi sono i più giovani, mentre chi ha più di 35 anni solitamente è meno propenso allo spostamento. Questo dato si collega a come le persone si sono radicate sui territori: la famiglia, le scuole frequentate dai figli, i servizi sono fattori che ci legano a un determinato spazio. Se nel borgo non si trovano asili nido e ospedali, diventa più complicato tornare.

Secondo lei come si definisce un “good job”, un “lavoro buono”?

È il lavoro che ti rende felice, che crea degli stimoli, che dà la possibilità di formarsi e di crescere. Negli anni la relazione con il lavoro è cambiata. Le nuove generazioni hanno un diverso approccio, sono molto più attente all’equilibrio tra lavoro e vita privata, alla possibilità di avere tempo libero per coltivare le loro passioni. Penso che ciò sia dovuto al fatto le giovani generazioni non hanno visto un miglioramento nelle condizioni di vita dei propri genitori: li hanno visti lavorare tutta la vita senza migliorare il loro status, a differenza delle generazioni precedenti. Chi entra nel mondo del lavoro oggi è più attento a una dimensione qualitativa e ciò potrebbe portare a una trasformazione di cui alcune aziende si sono accorte.

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