Che fine ha fatto la Hustle Culture?
Per dirla con l’ironia dell’imprenditore Brunello Cucinelli: «Essere stravolti sul lavoro è chic». È parte della «hustle culture», ovvero la disponibilità all’essere raggiungibili in ogni momento, caricandosi di giornate lavorative in cui ciò che conta sono le ore lavorate e l’intensità riposta in ogni attività. Questo è frutto del fatto che siamo cresciuti in sistemi che premiano il duro lavoro, a prescindere dal talento. Il successo, in pratica, è sempre dipeso dalle ore dedicate al lavoro e dai sacrifici o dalle rinunce fatte.
Con la pandemia siamo arrivati a un punto di rottura. Di fronte al black swan del Covid-19, la cultura del lavoro a tutti i costi ha iniziato a mostrare il suo lato più oscuro, con effetti negativi potentissimi sia sulle persone – solo in Italia si contano oltre un milione di nuovi casi di disagio mentale – che sulle organizzazioni: si stima che dipendenti stanchi e sopraffatti dalle attività, costino alle aziende al 34% dei loro stipendi annuali. Cosa fare?
La tecnologia per contenere lo stress
Negli ultimi anni sono nate tantissime le tecnologie e app per aiutare le persone a recuperare il benessere perso, anche sul lavoro. Da Healthy Virtuoso, che premia uno stile di vita salutare in ufficio, a Trainect, piattaforma che aumenta il benessere aziendale, da Jointly, programma di wellbeing personalizzato con wearables, a Gympass, servizio di abbonamento a palestre, app e strutture sportive per i dipendenti di un’azienda. E questo solo guardando al mondo HR.
Allargando l’orizzonte, a livello global troviamo colossi come Headspace e Calm che portano i loro contenuti sempre più vicini agli utenti (anche su Netflix, ad esempio), tanto che Wunderman Thompson ha inserito il calmtainment – calm, calma, e entertainment, intrattenimento – tra le parole-chiave del 2021.
Dalla cultura del lavoro no-stop stiamo passando alla cultura del break. Quella che promuove pause di lavoro regolari e investe sull’equilibrio tra vita privata e professionale. È un modus operandi basato su valori e prospettive completamente diverse in cui si dà la priorità al benessere mentale e si incoraggiano le persone a lavorare meno ore, ma con una mente più concentrata. Con una convinzione: per lavorare meglio bisogna lavorare meno. Per essere più attivi e performanti, è necessario fermarsi. Spegnere la mente per poi riavviarla.
Le pause aumentano la produttività
Diverse ricerche indicano infatti che le persone più produttive sono quelle che fanno pause regolari. Come rilevato da uno studio della Princeton University, ad esempio, se siamo stanchi tendiamo a ricorrere all’opzione decisionale più semplice, che non sempre è la migliore. Solitamente questa coincide con la procrastinazione o con l’accettazione dello status quo.
La ricerca dell’Università americana, firmata dallo psicologo Daniel Kahneman, prendeva in considerazione il settore giudiziario chiedendosi, ad esempio, se le sentenze fossero influenzate dal malessere psicofisico dei giudici. Bene, era emerso che la propensione a concedere la libertà condizionale diminuiva all’aumentare della stanchezza dei giudici. Se i giudici erano più stanchi, infatti, tendevano a ricorrere all’opzione più semplice e sicura: rifiutare la libertà condizionale. Quando invece facevano pause regolari, erano più coinvolti nella discussione in aula e più propensi a valutare scenari diversi.
Tornando alle aziende, perché un imprenditore dovrebbe valutare positivamente la cultura del break? Perché fa bene alle persone e anche al business. Già 10 anni fa, su Scientific American, lo scrittore Ferris Jabr, diceva che «Il tempo di inattività riempie le riserve di attenzione e motivazione del cervello, incoraggia la produttività e la creatività ed è essenziale per raggiungere i massimi livelli di prestazioni. Momenti di tregua possono essere necessari anche per mantenere la propria bussola morale in ordine e rinnovare il senso di sé».
E questo, appunto, avveniva già 10 anni fa. Oggi, dopo l’emergenza pandemica, dopo l’impennata dei burnout e l’ondata delle grandi dimissioni, le aziende stanno iniziando a considerare – o almeno dovrebbero farlo – sempre di più l’importanza delle pause, dell’equilibrio, dei giusti ritmi.
Gli apripista
Tutto ciò si traduce in pratiche di meditazione, yoga e riposi preventivi o proattivi. Pratiche su cui alcune big company hanno fatto da apripista (e già da tempo!). Non è un caso che ad aver investito per prime in simili tecniche siano state proprio le aziende tecnologiche, più esposte a ritmi serrati e a connessioni costanti.
Pensiamo ad Apple: Steve Jobs in prima persona ha praticato per anni meditazione e yoga, tanto che ha portato queste discipline in azienda. I suoi dipendenti possono meditare in autonomia per 30 minuti ogni giorno in un’apposita stanza o iscriversi a delle classi dedicate.
Allo stesso modo, Google, ha nominato uno dei suoi dipendenti, Chade-Meng Tan, ‘Capo della Crescita Personale’. Si è guadagnato questo titolo perché ha inventato il programmo Cerca dentro Te Stesso per aiutare i colleghi a respirare in modo consapevole, a calmare la mente, a sviluppare un focus interiore e ad accrescere l’intelligenza emotiva. Inoltre, Google offre ai suoi dipendenti regolari corsi di meditazione e respiro, con uno spazio apposito per la pratica.
Anche Intel ha avviato programmi simili. Prevede, ad esempio, un corso di 10 settimane con 90 minuti di lezione in cui le persone vengono allenate a meditare. Ogni settimana si affrontano diverse tematiche: presenza, consapevolezza, intenzione, intelligenza emotiva, empatia, intelligenza relazionale, vulnerabilità, compassione, gratitudine. Tra i benefici rilevati: miglioramento della qualità dell’ascolto, della chiarezza mentale, delle relazioni, della capacità di padroneggiare le emozioni, maggiore coinvolgimento con i colleghi e nelle riunioni, felicità, migliore dialogo a casa con il partner e con i figli, minore stress.
Passando dalla tecnologia all’abbigliamento, c’è Nike, che ha sposato la meditazione nella filosofia aziendale. Un coach tiene seminari di ‘leadership consapevole’, classi di meditazione e yoga. Non solo: Nike ha anche stretto una partnership con Headspace, app di mindfulness che conta più di 30 milioni di utenti in 190 paesi, per offrire delle audio guide per il corpo e la mente. Così è possibile imparare a correre consapevolmente rendendo la corsa una vera e propria meditazione attiva per controllare i ‘pensieri disturbanti’. Le app di supporto alla meditazione sono, infatti, sempre più diffuse perché versatili nei loro campi di utilizzo: rafforzano l’attenzione, la concentrazione, la resilienza, la motivazione e aiutano a dare il meglio di sé.
E anche sul pharma c’è chi segue questo trend, come AstraZeneca, azienda globale di biofarmaceutica che offre la meditazione come occasione per interrompere i lunghi meeting della giornata, al posto dei coffe break, come pratica sana, rilassante e rigenerante.
In definitiva, prendersi una pausa è, mai come adesso, tutto fuorché “tempo perso”. Come ricorda anche l’imprenditore Niccolò Branca, titolare del Fernet Branca, nel suo TedX è tempo di entrare in una nuova era dell’economia: l’economia della consapevolezza. E solo con la giusta dose di riposo mentale, potremo guidare il nostro business in maniera più consapevole.
Foto di copertina di Malte Helmhold