Che fine hanno fatto le emozioni nell’età della tecnica?

In un’epoca dove la rete ha cessato di essere un mezzo, divenendo essa stessa un mondo a cui è necessario partecipare per evitare l’emarginazione sociale, “Il libro delle emozioni” di Umberto Galimberti è un saggio che spinge a fermarsi e riflettere sulle dinamiche che viviamo, spesso senza esserne consapevoli. È una guida che aiuta a prendere coscienza della realtà fuori e dentro di noi per ritrovare lo spazio intimo che non difendiamo più e riscoprire quelle antiche emozioni che ci appartengono dall’alba dei tempi, ma che oggi fatichiamo a riconoscere o tentiamo di sopprimere.

Con una trattazione lucida e profonda, Galimberti squarcia il velo delle apparenze, lasciando, a tratti, un retrogusto amaro. Come ci insegna la cultura greca antica, di cui il professor Galimberti è un grande esperto e divulgatore, si apprende con la sofferenza. Tuttavia, tale dolore, a volte accompagnato da un senso di perdita, non deve tradursi in una rassegnata resa bensì in un invito all’azione, come quello che ci rivolge Galimberti, richiamando l’attenzione collettiva sulla centralità dell’educazione nella cura della vita emotiva delle giovani generazioni. Ripercorriamo alcuni punti chiave dell’analisi di Galimberti, trasformandoli in spunti di riflessione sul binomio umano e digitale.

Cosa sono le emozioni?

Anche se tutti proviamo emozioni, potremmo avere difficoltà a definire esattamente cosa siano. Spesso i termini pulsione, sentimento ed emozione vengono confusi tra loro. Galimberti sgombera il campo da qualsiasi dubbio, fornendo una definizione puntuale delle emozioni, di cui tratteggia anche un breve quadro storico. Esse sono radicate nella parte più antica del cervello umano e, nell’età primitiva, hanno guidato l’uomo nella sfida alla sopravvivenza, aiutandolo, ad esempio, a evitare i pericoli per la paura e i cibi nocivi per il disgusto.

Le emozioni sono, infatti, una reazione affettiva intensa e di breve durata a uno stimolo ambientale o mentale, che consente all’individuo di trovare soluzioni immediate in situazioni che non ammettono i tempi lunghi della mediazione razionale. Nella sfera delle interazioni personali, sono state identificate cinque emozioni primarie: gioia, paura, rabbia, tristezza, disgusto. Da questa lista emerge chiaramente la prevalenza di emozioni che definiremmo “negative”, ma che, alla luce del loro ruolo di salvaguardia dell’individuo e della specie nel percorso evolutivo, possiamo comprendere meglio. Tutti gli stati emotivi sono normali e utili, contrariamente all’aspettativa diffusa di dover essere costantemente felici, un’idea spesso alimentata dalla cultura dell’iper-positività e dal potere negativo dei paragoni sociali, amplificati dai social media.

Come impatta internet sulla vita emotiva?

Galimberti sostiene che viviamo nell’era della razionalità tecnica, dominata da valori di efficienza e produttività, in cui le emozioni, considerate un ostacolo al freddo funzionamento dei processi, vengono sospese. Si assiste, in parallelo, ad un ripiegamento sul proprio sentire soggettivo, assunto come unico criterio di giudizio, senza alcuna verifica esterna, con la conseguente perdita delle relazioni sociali essenziali per l’espressione della vita emotiva.

Secondo lo studioso, internet codifica il nostro modo di sentire e di pensare, offrendoci una rappresentazione della realtà rattrappita nella simultaneità dell’istante, che altera la nostra esperienza, avvicinando ciò che è lontano e distanziando ciò che è vicino. Ciò può comportare diverse conseguenze come la de-socializzazione, dovuta alla solitudine di massa di chi interagisce prevalentemente con i canali digitali, e la de-realizzazione, vissuta come un senso di alterazione o distacco dalla realtà. Sul piano emotivo, spesso il troppo grande ci lascia indifferenti: di fronte ai problemi del mondo intero, tendiamo a rimuovere l’informazione per non confrontarci con la nostra impotenza.

A livello psichico, le nuove tecnologie possono indurre a una regressione infantile, caratterizzata, ad esempio, dall’intolleranza del distacco. Il cellulare è diventato un regolatore dell’ansia da separazione, ricostruita attraverso contatti continui e compulsivi. Galimberti avverte anche dei pericoli derivanti dalla tendenza all’esibizionismo e dalla perdita del pudore: esporre e mercificare la propria vita emotiva nella costante ricerca di visibilità rende il proprio spazio intimo una proprietà comune, sottoposta a un processo di omologazione. Rischiamo di diventare meri ripetitori di un monologo collettivo, dove la percezione di una maggiore libertà si traduce, nei fatti, in un minore campo d’azione, poiché nessuno dispone di altri contenuti da veicolare che non siano quelli già comuni a tutti. Infine, Galimberti sottolinea che, sopraffatti dal rumore esterno, stiamo sacrificando i nostri silenzi interiori, indispensabili per connetterci con il nostro io più profondo e conoscerci davvero.

Quale sarà il futuro delle nostre emozioni?

Oltre ad invitare i lettori ad una presa di consapevolezza, Galimberti, con il pensiero rivolto alle nuove generazioni di nativi digitali, accende un faro sull’importanza nelle scuole dell’educazione, ancor prima dell’istruzione, intesa come trasmissione di contenuti culturali e scientifici. Sostiene che è fondamentale individuare le inclinazioni specifiche e le diverse forme di intelligenza di ciascun giovane, provvedere alla cura della sua condizione emotiva e offrire il riconoscimento necessario per la costruzione della sua identità, che, come credevano gli antichi greci, è un dono sociale.

Questo discorso trova una risonanza nei due capitoli del capolavoro di animazione “Inside Out”, che esplora, attraverso una coinvolgente personificazione delle emozioni, l’universo interiore dell’adolescente Riley. I film mettono in evidenza quanto sia cruciale, ma anche complesso, per un adolescente trovare un giusto equilibrio e una collaborazione tra le proprie emozioni. Oltre al supporto della famiglia, è essenziale, come afferma Galimberti, che istituzioni scolastiche e sociali riconoscano e promuovano l’educazione emotiva per accompagnare i giovani nel loro percorso di sviluppo personale e di costruzione di un’identità solida e autentica.

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