Veneto capitale delle grandi dimissioni: 30,2% di cessazioni volontarie nel 2021
Nel 2021 è il Veneto la capitale delle grandi dimissioni in Italia. Si tratta della regione con il più alto tasso di cessazioni volontarie: sul totale dei rapporti di lavoro cessati (nella regione sono stati 729.846 nel corso dell’anno), nel 30,2% dei casi si è trattato di una scelta del lavoratore.
Quasi uno su tre, tra quelli che hanno interrotto un rapporto lavorativo, si è di fatto licenziato. A certificarlo sono i dati del Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie del 2022, pubblicato dal ministero del lavoro.
Il Veneto ha la percentuale più alta del paese: subito dietro ci sono la Lombardia (con il 29,2% di dimissioni sul totale), il Piemonte (26,8%), il Friuli Venezia Giulia (26,4%), la Toscana (22,5%) e la Liguria (22,1%). Tanto nord, e soprattutto tanto nordest, con l’unica eccezione di Trentino e Alto Adige, le due province autonome che dove la quota delle cessazioni richieste dal lavoratore si ferma rispettivamente al 17,1 e al 16,4%. La quota tende ad abbassarsi spostandosi verso il Sud, fino a toccare il minimo in Puglia (solo il 9% di cessazioni volontarie).
Un altro dato spicca, però, tra le regioni settentrionali: è quello dell’Emilia Romagna che registra una quota del 21,5%, quasi 9 punti al di sotto del Veneto, 8 sotto la Lombardia, 5 sotto il Friuli Venezia Giulia. Dato che si potrebbe interpretare come una maggiore capacità del sistema emiliano-romagnolo, paragonabile al Veneto in termini di tessuto produttivo di piccole e medie imprese, di trattenere i lavoratori.
Veneto e Lombardia sono anche le regioni dove è più cresciuto il ricorso alle dimissioni di anno in anno: «L’aumento tendenziale, pari a +30,6%, coinvolge la totalità delle regioni – si legge nel rapporto –, con incrementi superiori nel Nord, in particolare in Lombardia (+37,7%) e Veneto (+34,9%) e variazioni inferiori nel Mezzogiorno, in particolare in Puglia (17,3%), Sicilia (+18,9%), Molise (+21,8%), e anche nella regione Lazio (+23,9%)». In Emilia Romagna l’incremento è stato comunque alto, pari al 34,4%, così come in Friuli Venezia Giulia (+34,5%) e nella provincia autonoma di Trento (+33,5%).