Falsi miti crollano: perché "boomer" è solo un’etichetta

Di fronte alla complessità del mondo, la nostra mente semplifica e classifica le informazioni in categorie per renderci la vita più facile. In questo processo di astrazione mentale, ricorriamo quasi senza accorgercene ad associazioni automatiche, schemi e preconcetti acquisiti sin dalla prima infanzia che ci consentono di prendere decisioni rapide ed effettuare valutazioni tempestive. Se ciò da un lato è positivo e utile, dall’altro rischia di indurci a giudicare qualcosa o qualcuno partendo da convinzioni errate, superficiali e imprecise e, ancora peggio, ad assumere nel tempo un atteggiamento negativo o discriminatorio.

L’ageismo ne è un chiaro esempio: si tratta di un anglicismo che indica in senso ampio le discriminazioni e i pregiudizi fondati sull’età, ma che tendenzialmente sono messi in atto nei confronti di persone mature, etichettate in modo ironico ma talvolta anche dispregiativo come “boomer”, termine rivolto a chi tipicamente non capisce molto di innovazione digitale e fatica a stare al passo coi tempi, perpetuando atteggiamenti o pensieri desueti e ritenuti imbarazzanti. In una società che viaggia a velocità supersonica, l’età può diventare un elemento divisivo in diversi ambiti, da quello professionale al campo tecnologico, in cui si misurano alcune differenze generazionali.

La vita segreta degli over 50

Segmentare la popolazione in generazioni, denominate con le varie lettere dell’alfabeto (X, Y, Z), torna ad essere una modalità pratica di semplificazione e classificazione della realtà, ma non esaustiva di tutte le sfaccettature e le personalità degli individui facenti parte di una fascia d’età, spesso identificata con caratteri univoci in termini di valori, comportamenti e abitudini. Lo dimostrano i dati della ricerca promossa e diffusa da Hearts & Science, agenzia di marketing e comunicazione di Omnicom Media Group, dal titolo: “La vita segreta degli adulti: abitudini digitali degli over 50” (2023).

L’indagine capovolge il ritratto comunemente diffuso degli over 50, che risultano essere più attivi e connessi di quanto si possa credere, sfatando molti falsi miti che li vedono già relegati ad una fase geriatrica dell’esistenza. Al contrario, questa fetta di popolazione, responsabile del 50% del PIL italiano, è proiettata con grande apertura e dinamismo verso una nuova giovinezza. Secondo l’indagine condotta su un campione di oltre duemila persone, il 93% degli adulti over 50 utilizza uno smartphone e l’80% naviga abitualmente sui social network. Sono ben 8,6 milioni a prenotare viaggi online, contro i 7,8 milioni degli individui tra i 18 e i 49 anni. Infine, circa un terzo di chi ha più di 50 anni dimostra un tale livello di attività da battere inaspettatamente i giovani anche nello sport, sia nella pratica regolare che nella partecipazione a eventi sportivi dal vivo.

Longevity economy

Se a queste evidenze aggiungiamo qualche dato ulteriore, legato a quella che possiamo definire una “longevity economy”, sembra proprio che un cambio di prospettiva e di approccio sia d’obbligo. Nel suo intervento al TEDx di Novara, Silvia Turzio, imprenditrice nel campo dell’assistenza, afferma che oggi nel mondo un miliardo di persone ha già compiuto 60 anni: alcuni demografi immaginano questa porzione di over 60 come un nuovo continente nell’Oceano Pacifico che supera di 3 volte la popolazione attuale degli Stati Uniti.

A livello globale, l’Italia è il secondo Paese più longevo subito dopo il Giappone e vanta diversi record: il 23% della popolazione italiana ha già compiuto i 65 anni, superando la fascia dei trentenni, ed entro il 2050 questa cifra raggiungerà il 34%. Sono numeri che fanno riflettere ed accendono un faro sul paradosso che viviamo in particolare in Italia: siamo la nazione che tende di più verso la spirale dell’invecchiamento ma che si interessa ancora poco allo studio e alla comprensione della generazione over 50, facendo dei giovani il target elettivo di ricerche di mercato, pubblicità e campagne di comunicazione.

La consapevolezza di questa evoluzione demografica, unita alle riscoperta delle reali caratteristiche di una fascia matura di popolazione altamente patrimonializzata e contraddistinta da un’elevata progettualità e positività, aprono oggi nuovi scenari in termini economici, finanziari, assicurativi ed anche comunicativi.

Vecchio a chi?

La situazione sta cambiando ma sembra che il mondo del marketing e della comunicazione non si stia ancora rendendo pienamente conto del cambiamento in atto. Dalla ricerca di Hearts & Science emerge che gli over 50 non si sentono rappresentati dalla pubblicità (9,5 milioni), ritenendo i protagonisti delle campagne troppo stereotipati (7,7 milioni).

L’approccio comunicativo è primariamente incentrato sulla risoluzione di un problema e rischia di perdere in termini di rilevanza per un pubblico che ricerca un’attitudine più positiva e una dimensione aspirazionale. Oltre alle lacune da colmare, ci sono stati e continuano ad esserci considerevoli passi avanti nel promuovere sensibilizzazione e conoscenza di questi temi, favorendo una conversione intergenerazionale. Un esempio luminoso è il video “Vecchio a chi?” di Victoria, il primo progetto di comunicazione italiano dedicato alle donne over 50 realizzato da Procter & Gamble nel 2019, che nasce proprio per scardinare i cliché sull’età, mettendo a confronto le generazioni di ieri e di oggi. Questo caso dimostra come l’ascolto reciproco sia il primo passo per conoscersi senza pregiudizi e avviare un dialogo di valore da cui entrambe le parti escono arricchite, apprendendo qualcosa di nuovo.

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