Glickon e Reverse: l'intelligenza artificiale applicata al settore HR
Nel settore HR, l’IA viene utilizzata nei processi di selezione del personale per analizzare i curriculum e individuare i candidati più adatti. Tuttavia, l’ingresso dell’intelligenza artificiale nei luoghi di lavoro solleva anche questioni legate all’etica e all’impatto sull’occupazione. Per conoscere alcune realtà abbiamo parlato con Carlo Rinaldi, Chief Marketing Officer di Glickon, piattaforma HR nata per coltivare il talento e per rilevare insights sulla popolazione aziendale e sui candidati, e con Daniele Bacchi, Founder e CEO di Reverse, azienda che accompagna le organizzazioni nel nuovo mondo dell’Head Hunting.
Carlo Rinaldi, l’intelligenza artificiale sta influenzando la ricerca del lavoro e i processi di assunzione? Voi come la utilizzate in Glickon?
«Ci troviamo di fronte a una nuova era di impatti tecnologici senza precedenti. In Glickon siamo entrati in OpenAI a maggio dell’anno scorso e abbiamo rilasciato il primo prodotto di costruzione di job description, di feedback personalizzati e di domande per la selezione. Il secondo passo è stata l’analisi dell’ascolto dei candidati, utilizziamo quindi l’IA per individuare il sentiment dei candidati durante un’esperienza di lavoro e migliorare l’employer branding delle aziende. Abbiamo capito che l’IA è una alleata dell’HR nel momento in cui riesce a gestire, a livello computazionale, tanti dati che possano migliorare i processi e la visibilità dell’azienda della posizione. Questa alleanza tra IA, esseri umani e lavoro funziona nel momento in cui va a migliorare una relazione la relazione con il lavoro, la relazione con l’azienda, la relazione verso i candidati e quindi si riesce a prendere il meglio da entrambi».
Nel settore delle risorse umane quali competenze sono utili per adattarsi a questo cambiamento?
«La prima è la curiosità e la seconda il pensiero critico. Oggi la tecnologia è diventata mainstream, generalista e alla portata di tutti, anche se non sei un ingegnere informatico. Le competenze necessarie sono quelle più umane, quelle alla base della piramide della tecnologia: non serve essere dei super nerd per avere competenze per usare questi nuovi strumenti ma bisogna essere dei super human. Bisogna avere un grande pensiero critico per prendere il meglio e bisogna avere etica».
Secondo lei l’interazione tra IA e risorse umane come si evolverà nei prossimi anni? Quali cambiamenti si possono aspettare nel modo in cui saranno gestiti i talenti all’interno delle organizzazioni?
«Ho fatto un TEDx a Rovigo dove parlo di unione tra intelligenza sensibile e intelligenza artificiale. Penso che non sia un tema collegato tanto alle risorse umane, perché la risorsa è qualcosa che tu vai a spremere e vai a esaurire. Nel Ted parlo proprio di sensibilità umane, perché non sono le aziende a gestire le risorse umane, ma sono le persone che gestiscono le risorse aziendali. Sono le sensibilità umane che dobbiamo andare a preservare, osservare e tutelare. Fin quando saremo guidati dal senso, ci sarà sempre un’evoluzione, anche se passeremo da fasi di disagio, necessarie per evolvere. Io sono ottimista rispetto alle comunità e penso che la forza delle community sia di tirar fuori tre ingredienti: senso critico, curiosità, etica».
Chiediamo anche a Daniele Bacchi il suo punto di vista sul tema.
Bacchi, in Reverse che idea vi siete fatti dell’avvento dell’intelligenza artificiale in ambito HR?
«Utilizziamo l’intelligenza artificiale generativa e ci collochiamo tra le aziende che cercano personale e i candidati che dobbiamo ingaggiare. Crediamo che ci siano tante attività che possano essere delegate all’intelligenza artificiale, ma al tempo stesso pensiamo che l’umano rimarrà il centro dell’attività di ricerca e selezione. Probabilmente avrà meno attività da fare o potrà farle meglio di quello che fa oggi, ma se guardo al il mio settore di ricerca e selezione, l’umano più la macchina sono sicuramente più forti del solo umano o della sola macchina. La macchina non decide chi portare avanti e chi no. La macchina aiuta l’uomo a decidere meglio».
Secondo lei qual è il ruolo delle competenze umane nell’era dell’intelligenza artificiale?
«È una grande svolta. L’uomo si era abbassato al livello della macchina per dialogare con la macchina, aveva dovuto costruire un linguaggio per dialogare con la macchina e dargli delle cose da fare. Da qui la nascita di alcune competenze, di tutti i linguaggi di programmazione, sviluppatori, framework e le complessità a cui l’uomo si abbassa per dialogare. Adesso la macchina si è alzata e dialoga con il linguaggio dell’uomo ed è una svolta epocale. Non penso che, nonostante tutto, i linguaggi di programmazione scompariranno, ma quello che puoi realizzare è basato prompt, sul linguaggio umano che scrive alla macchina ciò di cui ha bisogno. Non è molto visibile ma riduce di tantissimo la complessità».
In che modo questi strumenti possono contribuire a migliorare la diversità e l’inclusione nei processi di selezione del personale?
«Prima di tutto bisogna che chi dà il comando alla macchina sia consapevole dell’obiettivo di ottenere una certa diversity del personale. Nel momento in cui si dice alla macchina di tenere in considerazione un determinato parametro, penso che la macchina avrà molti meno bias (pregiudizi, ndr)».