HrCoffee, la startup delle people analytics che uniscono intelligenza artificiale e psicologia
Un approccio bottom-up che pone le persone al centro delle strategie HR e un forte background nella psicologia del lavoro. È il tratto distintivo di HrCoffee, startup innovativa con base a Molfetta, in Puglia. Parte del gruppo Exprivia, che l’ha lanciata nel 2018 e ne detiene il 70%, è stata fondata dalla ceo Maria Cesaria Giordano, dal cto Pasquale Davide de Palma e dal software development manager Dario Nuccetelli.
Abbiamo intervistato de Palma mentre si trova a New York, dove è ospite dell’Entrepreneurs Roundtable Accelerator (ERA), in cui si sta svolgendo il Global Startup Program promosso dall’Istituto per il Commercio Estero (ICE). HrCoffee è una delle poche startup italiane selezionate per questo percorso di accelerazione.
Come nasce HrCoffee e qual è la sua offerta distintiva?
Maria Cesaria Giordano e io abbiamo studiato entrambi psicologia e abbiamo collaborato nella scrittura delle nostre tesi di laurea. In quella fase abbiamo chiesto a un amico programmatore, Dario Nuccetelli, un aiuto per la resa grafica di un file Excel. In quelle tesi c’era già in nuce il progetto di HrCoffee: una piattaforma bottom-up di gestione del personale che ha come cuore i people analytics.
Successivamente abbiamo incontrato Exprivia, azienda di Molfetta che ha avuto coraggio di sostenere quell’idea e di farla diventare una realtà e un prodotto con dietro la forza di un gruppo industriale. È una tecnologia semplice, pulita, veloce, e un ecosistema nato in Puglia. Oggi abbiamo 9 dipendenti a cui si aggiunge un ricercatore in statistica psicometrica, grazie a un programma stretto con la Regione Puglia e l’Università di Bari. Siamo l’unica startup italiana certificata family audit, e abbiamo costruito insieme il nostro “statuto delle persone”, frutto di un percorso partecipato.
Qual è il suo percorso professionale?
Ho studiato psicologia del lavoro e dell’organizzazione. Sono sempre stato affascinato dai kpi, gli obiettivi di un’organizzazione, ma ho sempre pensato che un indicatore non dovesse partire dall’alto ma dal basso: qual è l’obiettivo che vuoi raggiungere? È da questa domanda che deve partire la strategia hr. In questo modo le persone diventano le protagoniste.
Come funzionano le applicazioni che sviluppate?
Abbiamo due piattaforme. La prima è una sorta di social intranet che riunisce al suo interno tutti i dati del mondo hr, dalla turnistica alle buste paga fino ai training. Poi c’è Splash, dedicata solo al people analytics, con diversi strumenti: dalla gestione della formazione legata alle seniority, al radar per capire a che punto ci si trova rispetto alle diverse competenze. C’è un’applicazione di intelligenza artificiale integrata con cui si può chattare e che in pochi secondi è in grado di scrivere un report generale per ciascuna area, commentando i grafici.
Vogliamo superare la frammentazione che esiste in questo settore, e l’approccio esclusivamente quantitativo, legandolo a un taglio qualitativo, per aiutare le organizzazioni a uscire dal mondo delle metriche e ad entrare in una concezione olistica. Partiamo dall’assunto che il valore più importante di un’organizzazione oggi è la conoscenza: attraverso grafici di facile lettura aiutiamo a comprendere se le politiche di welfare e di formazione stanno funzionando, se vanno incontro ai desideri delle persone in termini di sviluppo della conoscenza e di obiettivi di carriera. Se poni le persone al centro hai più motivazione ed engagement.
Qual è la vostra concezione di talento e di leadership?
Spesso ci dimentichiamo che le organizzazioni non sono fatte solo di talenti e performance: nessun esercito è formato solo di generali. Ci sono anche i low performer, che si svegliano ogni mattina per andare a lavorare e hanno semplicemente bisogno di sentirsi bene con se stessi e nell’azienda in cui operano.
A volte si è ossessionati da una sorta di “guerra dei talenti”, ma che cos’è il talento? È un elemento di transizione, che dipende dal setting, cambia in base alle aziende e ai mestieri. Per creare un contesto positivo, i “capi” devono diventare coloro che costruiscono uno scaffolding, che in psicologia indica la struttura, l’impalcatura grazie alla quale una persona può crescere e sentirsi libera.
Un tema posto dall’attualità è il coinvolgimento della Z Generation nei posti di lavoro. Per fare un esempio, Splash è in grado di alzare una “red flag” se un giovane collaboratore, magari poco motivato, ha intenzione di licenziarsi?
Le regressioni lineari sono in grado di evidenziare, mettendo in relazione determinati indicatori, se in un bacino di dipendenti, per esempio quelli con meno di 5 anni di anzianità aziendale, c’è un abbassamento delle performance. Se la linea è in discesa significa che non si sta facendo abbastanza per coinvolgere quel gruppo di persone. È difficile che una persona che si sente ingaggiata se ne voglia andare.
Qual è il cliente tipo di HrCoffee?
Lavoriamo con aziende molto piccole e molto grandi, in Italia, Spagna e negli Usa: da Barilla all’Acquedotto Pugliese, dalla ristorazione alla logistica. Ciò che accomuna queste realtà non è un settore merceologico né una fascia dimensionale, ma una cultura organizzativa che pone al centro le persone.
Di ritorno dagli Usa, su quali nuovi progetti lavorerete?
Dal mese di accelerazione qui a New York, HrCoffee porterà a casa tanto, a partire dalla grande mescolanza di culture che qui si incontra quotidianamente. Apriremo un’area dedicata a questo aspetto nel nostro sistema di people analytics. Siamo un’azienda in evoluzione.
Maria Cesaria Giordano e Pasquale Davide de Palma di HrCoffee