IA e lavoro: come bilanciare l’etica con l’innovazione
Negli ultimi anni, l’Intelligenza Artificiale ha smesso di essere una semplice tecnologia futuristica, evolvendosi in uno strumento applicabile in diversi settori lavorativi. Nonostante il suo impiego sia ancora limitato, è chiaro come possa svolgere un ruolo chiave migliorando l’efficienza e la produttività aziendale, grazie alle capacità di automatizzazione di molti processi precedentemente affidati agli operatori umani.
Se da un lato si aprono enormi possibilità di crescita e innovazione, dall’altro emergono preoccupazioni legate alla perdita di posti di lavoro, all’etica e alla ridefinizione delle competenze dei lavoratori. In un mondo sempre più automatizzato, come possiamo bilanciare i rischi e le opportunità di queste nuove tecnologie? Nel White Paper “AI@Work” realizzato da Radical HR (scaricabile al seguente link), vengono presentati i possibili scenari per comprendere l’impatto dell’IA nel mondo del lavoro.
IA libere dai pregiudizi?
Le Intelligenze Artificiali generative molto spesso vengono percepite come entità “senzienti”, capaci cioè di sviluppare un pensiero e restituire una risposta logica. In realtà, quello che avviene è un processo di elaborazione complessa di dati e informazioni messe a disposizione di questi programmi. Attraverso la somministrazione di una vasta mole di dati, le intelligenze artificiali vengono “educate” alla risposta corretta da fornire, estraendo in modo oggettivo e logico l’alternativa più adatta.
Ciò potrebbe suggerire una maggiore obiettività da parte dell’IA, che non essendo realmente capace di pensare, escluderebbe dalle proprie elaborazioni i bias comuni nel pensiero umano, ma in realtà non è così. Il processo di apprendimento gioca un ruolo fondamentale: essendo creata e alimentata da esseri umani, l’IA è capace anche di replicare e amplificarne i pregiudizi, che si tramandano attraverso l’elaborazione delle informazioni in suo possesso. Per i lavoratori, conoscere questi meccanismi di funzionamento si traduce in un utilizzo più consapevole dello strumento, che richiede quindi l’intervento umano per analizzare e verificare il risultato prodotto.
Migliorare l’efficienza ha un costo
Velocizzare e ottimizzare i processi aziendali può sembrare un vantaggio sufficiente per aprire la strada all’adozione dell’IA: l’automatizzazione produce un impatto positivo per tutti, permettendo di concentrare l’energia umana su attività creative ad alto valore aggiunto per i dipendenti e di ridurre i costi per le imprese. Tuttavia, un utilizzo incontrollato può esporre a dei rischi che coinvolgono la qualità degli output: standardizzare i processi infatti significa anche livellare i risultati, creando un livello qualitativo che potrebbe non coincidere con l’obiettivo prefissato. Inoltre, l’impiego di questo strumento esclude in massima parte l’attività umana, impedendo di personalizzare l’offerta optando per un output conveniente in termini di risparmio di tempo e risorse, ma eccessivamente standardizzato.
Oltre al ruolo di supervisione, fondamentale per le aziende è disporre di addetti capaci di comprenderne gli utilizzi per sfruttare al meglio le sue capacità. Non è sostenibile infatti pensare che l’IA sia di per sé la chiave di volta per il futuro dell’impresa, perché parallelamente alla sua introduzione è necessario dotarsi di figure professionali con le competenze adatte a farne buon uso. Questo obiettivo si può raggiungere attraverso programmi di upskilling per i collaboratori già impiegati in azienda e nella ricerca di nuove competenze nel mercato del lavoro, capaci di integrare al meglio l’IA nel workflow aziendale.