Il buon lavoro per Cuzzilla e Perrone: rimettere le persone al centro
In un momento storico di grandi cambiamenti, il lavoro è al centro di un acceso dibattito. La pandemia ha ridisegnato i confini tra vita privata e professionale, mentre la ‘grande fuga’ dai lavori tradizionali ha portato a interrogarsi sul senso e sul valore del lavoro nelle nostre esistenze.
Il saggio “Il buon lavoro. Benessere e cura delle persone nelle imprese italiane”, edito da Luiss University Press, offre una lente preziosa per analizzare questo scenario complesso. Scritto da Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager, Cida e Trenitalia, e da Manuela Perrone, giornalista del Sole 24 Ore, il libro parte da una domanda fondamentale: cos’è un “buon lavoro”?
Al centro la persona
La risposta non è semplice, né univoca. Gli autori esplorano le diverse sfaccettature del lavoro che cambia, offrendo una solida analisi basata su dati e ricerche. Il libro evidenzia il cambiamento che stiamo attraversando, denso di incognite, al punto che non sappiamo quale sarà l’assetto del mondo del lavoro tra 20-30 anni, e che non conosciamo gran parte delle professioni che serviranno in futuro, anche prossimo. Tuttavia, in mezzo a questa rivoluzione dagli esiti incerti, c’è un punto fermo: la persona deve essere al centro.
Non si tratta solo di uno slogan, come spiegano gli autori, ma di un’urgenza che si deve tradurre in azioni concrete per ogni lavoratrice e lavoratore e che coinvolge tutti gli ambiti: dalle nuove tecnologie alla gestione del tempo, dalla salute e benessere al welfare aziendale, fino al problema della produttività e delle retribuzioni. Le esigenze e le aspirazioni dei lavoratori sono cambiate, e le aziende devono sapersi adattare a questa nuova realtà.
Del resto, come sottolinea Ferruccio De Bortoli nella prefazione, la dimensione novecentesca fordista del lavoro è ormai un lontano ricordo. I giovani di oggi non vedono nel lavoro la medesima componente identitaria e lo strumento di emancipazione delle generazioni precedenti e a cui di conseguenza dedicare un tempo rilevante, ma separato dalla vita e dalla libertà individuale, quanto invece ‘il suo complemento, la sua realizzazione’. Un buon lavoro, può essere tale, ‘se è soddisfacente non solo sul versante del benessere personale e familiare, ma anche e soprattutto se ha una ricaduta positiva sulla comunità’.
Le 3G: giovani, genere, geografia
Il saggio non si limita a fotografare la situazione attuale, ma indica anche le sfide che il nostro Paese deve affrontare per costruire un futuro del lavoro migliore. Tra queste, le 3G: giovani, genere e geografia. L’invecchiamento della popolazione aumenta l’attenzione sociale e quindi le politiche a favore degli anziani e riduce il peso ‘politico’ dei giovani. Ma è sopratutto ora di comprendere che le ragazze e i ragazzi affrontano la vita con una scala valoriale radicalmente differente rispetto alle generazioni precedenti e non si può fare finta di ignorarlo. Si tratta di tendenze confermate oltre che dalle indagini, dall’esperienza diretta dei tredici tra responsabili delle risorse umane, cacciatori di teste e manager di agenzie per la consulenza e lo sviluppo professionale intervistati nella seconda parte del saggio.
Come ha sottolineato la stessa Manuela Perrone nel corso della presentazione del libro a Federmanager, “emerge con nettezza un mutamento profondo nelle richieste dei lavoratori e di chi al lavoro si affaccia per la prima volta. Soprattutto per i giovani, la retribuzione non è più in cima alla lista dei fattori che orientano le scelte professionali. Conta altro: il work-life balance, la gestione flessibile dei tempi e degli spazi di lavoro, la formazione, i valori, l’attenzione a sostenibilità, diversità e inclusione. Si cerca non il posto fisso, ma il posto giusto, quello che fa stare bene. E cambiare non fa più paura. Le organizzazioni devono tenerne conto, così come occorre prestare attenzione agli squilibri che connotano il nostro mercato del lavoro.
L’occupazione femminile e i divari territoriali
Riguardo le donne, il tasso di occupazione femminile, in Italia, rimane tra i più bassi d’Europa. Le cause sono da ricercarsi nella scarsa disponibilità di servizi per l’infanzia, nei lavori di cura informali e gratuiti ancora prevalentemente a carico delle donne, e in una maternità che si dimostra ancora oggi un fattore fortemente penalizzante sul mercato del lavoro, ma anche un fattore di grande penalizzazione per la crescita e il benessere collettivi; infine ci sono i divari geografici.
L’Italia è un Paese con forti disuguaglianze interne, e il divario tra Nord e Sud si è ampliato negli ultimi anni. Una dicotomia storica e mai superata a cui si sono aggiunte molte altre differenze, trasformando l’Italia in un Paese molto frastagliato e con una preoccupante polarizzazione tra centri urbani e periferie.
Il ruolo del legislatore
Per costruire un “buon lavoro” per tutti, è necessario un impegno congiunto di aziende, lavoratori e istituzioni. L’Italia ha tutte le carte in regola per costruire un futuro del lavoro migliore. Un futuro in cui il lavoro sia fonte di benessere e di realizzazione per tutti. In questo quadro però il legislatore ha un ruolo fondamentale nel creare un contesto favorevole al cambiamento. Il messaggio degli autori è chiaro: non possiamo affidare il cambiamento al caso. Serve una visione strategica, perché è il Paese stesso a cambiare insieme al lavoro.
Verso un nuovo paradigma del lavoro
Il saggio si conclude con una riflessione sul futuro del lavoro. La pandemia ha accelerato la trasformazione del mondo del lavoro, e ora è il momento di costruire un nuovo paradigma. Un paradigma che ponga al centro la persona, il suo benessere e la sua crescita. Ricco di stimoli e di spunti di riflessione, con una solida base di dati, “Il buon lavoro” è un testo fondamentale per chiunque voglia comprendere le sfide e le opportunità del lavoro che cambia ed è in definitiva un invito a cambiare la nostra percezione del lavoro e a un impegno collettivo per guidare la trasformazione.
In apertura: “Il buon lavoro”, dettaglio della copertina