Luigi Palopoli: «Con l'intelligenza artificiale il mercato premierà la creatività umana»

L’intelligenza artificiale produrrà a breve cambiamenti significativi nel mondo del lavoro. Schiere di professionisti in settori che fino a poco tempo fa sembravano al riparo dalla trasformazione in atto potrebbero essere soppiantati da sistemi informatici in grado di elaborare con facilità nuovi contenuti partendo da set di informazioni già disponibili. È il caso, solo per fare qualche esempio, di creativi, copywriter, giornalisti e professionisti legali.

«Dobbiamo metterci nell’ordine di idee che qualsiasi informazione ‘seriale’ o ripetitiva viene elaborata con maggiore efficienza, velocità e qualità da un software piuttosto che da un essere umano», ci dice Luigi Palopoli, professore di robotica all’Università di Trento. Con il docente del dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione, abbiamo provato a immaginare la parabola che prenderà l’intelligenza artificiale nei prossimi anni, consapevoli tuttavia che predire il futuro anche solo a medio temine sarebbe un azzardo.

«Molte delle idee immaginate un paio di decenni fa non si sono mai compiute, mentre la tecnologia ha consentito lo sviluppo di prodotti o servizi in settori che non venivano presi in considerazione», osserva Palopoli, i cui studi sui robot intelligenti offrono un punto di osservazione privilegiato. Le uniche certezze riguardano l’impatto sul lavoro e la necessità di coltivare professionalità in grado di combinare l’elaborazione e la gestione dei dati con peculiarità insostituibili, come l’empatia, la creatività e la manualità artigiana che da secoli caratterizza la piccola impresa italiana.

Con il dipartimento di ingegneria e Scienze dell’Informazione dell’Università di Trento state da tempo lavorando a dei progetti di intelligenza artificiale. Di cosa si tratta e a che punto siete?

Lavoriamo in vari ambiti. I più importanti sono computer vision, comprensione e generazione di linguaggi naturali (argomento molto di moda), pianificazione e robotica. Su quest’ultimo argomento abbiamo costituito un gruppo di lavoro chiamato IDRA insieme al Dipartimento di Ingegneria Industriale, all’interno del quale sviluppiamo tecnologie applicabili ai cosiddetti robot intelligenti: macchine in grado di operare in ambienti parzialmente sconosciuto o di interagire con esseri umani con modalità del tutto nuove e inesplorate. Per portare avanti queste attività formiamo studenti con competenze avanzate grazie a una nuovo corso di laurea magistrale (Artificial Intelligence Systems) che abbiamo avviato due anni fa e che è in costante crescita.

Questi studi sono pronti per essere trasferiti alle imprese e quindi al mercato?

Assolutamente sì. In realtà potremmo dire che le nostre idee ci pongono alla frontiera dell’Ingegneria. Non è un caso che il corso di laurea magistrale che le ho accennato prima si chiami Artificial Intelligence Systems. Per noi un tecnologia ha un senso solo se riusciamo a creare un sistema che la integri e che rivoluzioni la vita delle persone. Molti dei nostri studenti si trovano a lavorare in multinazionali come Google o Meta. Altri intraprendono e fondano startup innovative. Crediamo fortemente che le nostre attività incideranno fortemente nel breve termine nella vita dei territori in cui siamo insediati.

Che impatto potranno avere nella vita quotidiana a breve e medio termine?

Questa è una domanda difficile. Se si leggono i libri di fantascienza di qualche anno fa ambientati ai nostri giorni, si scopre che molte delle previsioni fatte non si sono avverate. Altri sviluppi hanno persino sorpassato le predizioni. Viviamo in un mondo interconnesso in cui posso viaggiare ovunque, orientarmi in qualsiasi città e usare i servizi online di traduzione per comunicare efficacemente con la maggior parte degli abitanti del pianeta. Chi poteva prevederlo? Insomma mi aspetto brutali aumenti di produttività in settori inaspettati (come ad esempio quello degli avvocati o dei giornalisti); l’AI sarà in grado di amplificare la nostra capacità di produrre informazione.

La nostra sfida sarà gestirla tutta questa informazione e far sì che la qualità delle cose che circolano vada di pari passo con la quantità. Per mantenersi competitivi i cosiddetti creativi dovranno diventarlo ancora di più e immaginare cose che non siano sintetizzabili a partire da conoscenze già esistenti. Per cose come sitcom dalla trama ripetitiva, o per musichette commerciali, l’AI potrà produrre contenuti a costi molto bassi tagliando fuori tutti i professionisti non forniti di immaginazione e autentica passione per il proprio lavoro

C’è crescente preoccupazione per le conseguenze che l’IA potrà avere sul mondo del lavoro. Alcuni osservatori riconducono all’implementazione di sistemi di IA l’ondata di licenziamenti in Amazon, Meta (Facebook e Instagram), Apple e Google che ha caratterizzato il primo semestre del 2023.

È vero il rischio è alto. Ma l’umanità ha già conosciuto queste rivoluzioni e ne è sempre uscita rafforzata. Fino alla fine dell’800 la maggior parte dei nostri avi erano agricoltori. Poi la rivoluzione industriale li ha spinti nelle fabbriche. Poi l’automazione e la delocalizzazione della produzione li ha spinti verso i servizi. Secondo me, i nostri successori dovranno inventarsi nuove strade che a questo punto è difficile prevedere. Sicuramente chi si occupa di servizi alla persona non ha da preoccuparsi. Per quanto avanzati possano essere i robot e i servizi diagnostici, il dialogo con dottori e infermieri ‘umani’ è insostituibile.

Ma ciò significa che questi professionisti dovranno curare i rapporti personali e l’empatia come mai prima: a un umano corrucciato, quasi quasi preferisco un robot sorridente. Potremmo anche assistere al ritorno di antichi mestieri. Gli artigiani potranno avvantaggiarsi dei robot collaborativi intelligenti per produrre oggetti altamente personalizzati a costi bassi. Si passerà dalla produzione di massa alla personalizzazione di massa. Insomma il diavolo potrebbe non essere così brutto come lo si dipinge.

Ci sono oggi le figure con le competenze in grado di gestire sistemi e macchine ‘collaborative’? 

Maledettamente poche. Un robot collaborativo è intanto un robot, ma anche un sofisticato calcolatore in grado di sintonizzarsi con i gesti e persino con le emozioni dei suoi partner umani. Attualmente queste competenze sono divise tra professionalità diverse. Noi stiamo provando a creare delle figure fortemente interdisciplinari. Ma la rivoluzione è soltanto agli inizi.

Chi dovrebbe formarle? È sufficiente il sistema degli ITS o bisogna salire di grado all’Università?

Proprio per i motivi che accennavo prima, i giovani che vogliano avere una competenza spendibile nel futuro non dovranno lesinare sulla formazione. Dovranno sicuramente avere ottime conoscenze tecniche (quindi partiamo pure con gli ITS) ma io raccomanderei fortemente di alzare il livello di ambizione e non risparmiarsi nella formazione Universitaria. I professionisti in grado di lavorare con l’IA, con i robot collaborativi dovranno avere profonde capacità di modellare il comportamento umano e tradurlo in algoritmi.

Quindi cari giovani, per favore, abbiate la pazienza di investire un altro po’ del vostro tempo tra le mura e nei laboratori universitari. E non perdete curiosità e sete di conoscenza. Parlate anche con i vostri colleghi matematici, storici e filosofi. Nessuno sa cosa servirà veramente per vivere bene tra trent’anni. Il motto di Steve Jobs “Stay Hungry stay fool” o il nostro Dante “Fatti non foste a viver come bruti” sono ancora insegnamenti impagabili.

Qual è la situazione in Italia e in Europa in termini di competenze e di formazione?

In Italia abbiamo un ottimo sistema universitario, almeno in ambito robotica e AI. I nostri professori e ricercatori collaborano con le università più prestigiose al mondo e hanno una produzione scientifica di altissimo livello. Quindi, sono molti gli atenei (a partire dal mio) in cui un giovane può crearsi una formazione di qualità. Io consiglio di scegliere quegli atenei che offrono forti possibilità di fare esperienze di laboratorio e di essere coinvolti in progetti di ricerca.

Come dicevo prima, in questo ambito, viviamo un tempo di innovazioni rapide e incessanti. Una ricerca pubblicata oggi può diventare un sistema tecnologico di successo tra 6 mesi. Quindi mettere le mani su un articolo, lavorare a un brevetto o aver la possibilità di partecipare a una conferenza sono opportunità non convenzionali ma preziosissime di crescita. Personalmente sono un fan del progetto Erasmus. Trascorrere un periodo in contesti culturali diversi all’età di 20-25 anni lascia un’eco profonda di esperienze e ricordi.

L’IA aumenterà il gradino di accesso alle professioni, quindi al lavoro? Vede il rischio di un aumento dei divari tra chi è in grado di gestire conoscenze e chi no?

Il rischio c’è. Già oggi osserviamo il divari tra professioni tecniche relativamente ben pagate (non abbastanza in Italia), e altri lavori che purtroppo danno a stento la capacità di sostentarsi. Nel futuro, io credo che il mercato del lavoro del futuro premierà non solo le competenze tecniche di chi è in grado di progettare un sistema, ma anche la capacità di produrre contenuti e conoscenze altamente originali e creative.

Come dicevo prima, i robot ci aiuteranno a produrre a costi bassi prodotti quasi di qualità artigianale. Lo stesso avverrà con prodotti ‘culturali’ sorprendenti e innovativi. Questo dovrebbe facilitare chi come noi vive in un paese che ha sempre fatto della creatività la propria bandiera. Purtroppo per le persone che mettono da parte le ambizioni e si adagiano sul tran tran quotidiano prevedo tempi non facili.

Cosa consiglia a chi si deve iscrivere all’Università?

Penso che la definizione migliore di un giovane sia quella di una persona che rifiuta i consigli delle persone più adulte. Quindi non so a cosa servano in consigli… Scherzi a parte, io credo che la maggiore fonte di dispersione scolastica e universitaria sia la paura di non farcela. Per i ragazzi i confronti con i loro pari diventano a volte ossessivi e questo amplifica le difficoltà. Io suggerirei a un giovane di concentrarsi sul proprio di percorso, saper apprezzare la crescita che si è in grado di fare con il duro lavoro e crearsi una vasta rete di amici con cui collaborare e condividere esperienze. Per la competizione c’è tempo… E poi esigere molto da se stessi e anche dai professori. Non accettare sciatteria o arroganza. I ragazzi sono da noi per crescere e noi siamo qui per aiutarli.

E a una ragazza o un ragazzo neolaureato in robotica?

Non porsi limiti. I primi anni di lavoro sono i più importanti. Quindi se il contesto in cui si vive non offre grandi opportunità, è bene muoversi. Cambiare città o anche paese può aiutare. Ma una delle cose fantastiche dell’informatica è che se un contesto lavorativo non ci piace possiamo crearcene uno a nostra misura. La creazione di startup non dovrebbe spaventare e neanche il possibile fallimento. Raccontano che Edison, già famoso, lavorava da tempo alla lampadina. Dopo centinaia di fallimenti, una giornalista gli chiese: ma come si sente dopo avere fallito centinaia di volte a inventare la lampadina. Edison rispose, io non ho fallito centinaia di volte, ho creato centinaia di lampadine che non si accendono. Questo dovrebbe essere lo spirito.

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