Nascite ai minimi storici: Save the Children, mancano servizi e politiche per il lavoro
Il tema demografico è al centro del dibattito pubblico e politico per gli Stati generali della natalità in corso in questi giorni. Aiuta a fare chiarezza tra statistiche e proclami il nuovo rapporto di Save the Children “Le Equilibriste – La maternità in Italia 2023”, pubblicato in questi giorni.
Il rapporto parte dal minimo storico delle nascite raggiunto nel 2022: -1,9% per 392.598 registrazioni all’anagrafe. In Italia la coorte di donne in età fertile è diminuita nei decenni e si diventa madri sempre più tardi: l’età media al parto è di circa 32 anni, una delle più alte in Europa, e già nel 2019 l’8,9% dei primi parti riguardava madri ultraquarantenni.
Il gap di genere nel mercato del lavoro
Se il rinvio della maternità e la bassa fecondità sono frutto di numerose concause, c’è una relazione diretta e positiva tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e fecondità, si legge nel report. Il mercato del lavoro sconta ancora un gap di genere fortissimo. Nel 2022, pur segnando una leggera decrescita, il divario lavorativo tra uomini e donne si è attestato al 17,5%, ma è ben più ampio in presenza di bambini: nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà, e con due figli minori scende fino al 56,1%, mentre i padri che lavorano sono ancora di più (90,8%), con un divario che sale a 34 punti percentuali.
Pesano anche, e molto, differenze geografiche e titolo di studio. Nel Mezzogiorno l’occupazione delle donne con figli si arena al 39,7% (46,4% se i figli non ci sono), contro il 71,5% del Nord (78,9% senza figli), e in Italia le madri laureate lavorano nell’83,2% dei casi, ma le lavoratrici sono molte meno tra chi ha il diploma della scuola superiore (60,8%) e precipitano al 37,4% se c’è solo la licenza media.
Quando il lavoro per le donne c’è, un terzo delle occupate ha un contratto part-time (32% dei casi contro il 7% degli uomini). Se ci sono figli minorenni la quota sale al 37%, a fronte del 5,3% dei padri, e con una metà quasi di queste mamme (15%) che si è vista costretta ad un part-time involontario, che non ha scelto.
Foto di Francesca Leonardi per Save the Children
Le madri si dimettono più spesso dei padri
Un quadro poco favorevole alle madri lavoratrici emerge anche dai dati raccolti dall’INL sulle dimissioni: nel 2021, “delle 52.436 convalide totali, 37.662 (il 71,8%) si riferiscono a donne (madri) e 14.774 (28,2%) a uomini (padri)”, e la percentuale delle madri sale oltre l’81% tra giovani fino a 29 anni. Tra gli uomini il 78% delle dimissioni è legato al passaggio ad altra azienda e solo il 3% alla difficoltà di conciliazione tra lavoro e attività di cura, mentre per le donne questa difficoltà rappresenta complessivamente il 65,5% del totale delle motivazioni. Il gap lavorativo per le donne legato a genere e genitorialità è purtroppo ancora molto marcato nel nostro Paese, ancor più se si considerano le famiglie monogenitoriali (2,9 milioni nel 2021, il 17% del totale dei nuclei; nell’80% dei casi composte da madri single). Madri che si stima nel 44% dei casi vivano in una condizione di povertà, più diffusa tra chi ha un basso livello di istruzione (65%), rispetto a chi ha conseguito un livello di istruzione medio (37%) o alto (13%).
Il sondaggio
In un’indagine realizzata da Ipsos per Save the Children e contenuta nel rapporto “Le Equilibriste”, le mamme di bambine e bambini tra 0 e 2 anni testimoniano infatti un chiaro vissuto di solitudine e fatica, dall’evento del parto alla ricerca di un nuovo equilibrio nella vita familiare e lavorativa.
Dal sondaggio emerge che in ospedale, se la qualità dell’assistenza sanitaria è considerata buona dall’81% delle intervistate, una donna su due non si è sentita accudita sul piano emotivo e psicologico, e al ritorno a casa in molte non si sono sentite supportate dai servizi pubblici come l’assistenza domiciliare (58%) e i consultori familiari (53%).
Le madri intervistate che hanno vissuto l’esperienza del parto hanno riportato di aver provato sia sensazioni positive che negative durante il post-partum nell’88% dei casi (47% in egual misura, 30% soprattutto positive, 11% soprattutto negative). La gioia provata per l’arrivo di un figlio (il 77% delle intervistate che hanno provato sensazioni positive la cita come sensazione prevalente), insieme al senso di completezza (43%), serenità (40%) e appagamento (39%), si intrecciano con emozioni negative come la stanchezza (80% delle intervistate che hanno provato sensazioni negative), l’insicurezza (53%), la paura (51%), il senso di inadeguatezza (44%) e la solitudine (38%).
Sei su 10 non hanno accesso al nido
Nella quotidianità, sono infatti le madri a dedicare gran parte del loro tempo alla cura del figlio, 16 ore contro le 7 del partner. Il 40% delle mamme intervistate fatica a ritagliarsi del tempo per sé. Il 40% delle donne riporta anche vissuti di crisi o conflittualità nella coppia dopo la nascita del figlio/a, e 1 donna su 5 segnala l’emergere di una maggiore aggressività del partner o dichiara di averne avuto paura. Ben 6 mamme su 10 non hanno accesso al nido, risorsa chiave per la loro partecipazione al mercato del lavoro. In più di 1 caso su 4 ciò è dovuto a carenze del servizio pubblico.
Rispetto alle politiche considerate maggiormente amiche dalle mamme, dalla ricerca emerge l’assegno unico, di cui usufruisce il 63% delle intervistate, mentre solo il 15% beneficia del bonus nido.
Foto di Francesca Leonardi per Save the Children
Niente figli: fatica e difficoltà a conciliare lavoro e famiglia
Se quasi la metà del campione non ha intenzione di avere altri figli, perché troppo faticoso (40%), per le difficoltà a conciliare lavoro e famiglia (33%), per mancanza di supporto (26%) o per insufficienza dei servizi disponibili (26%), il sondaggio evidenzia quale sostegno potrebbe cambiare in positivo la propria propensione ad avere ulteriori figli. Tra quelli segnalati emergono un assegno unico più consistente (23%) o la possibilità di asili nido gratuiti (21%), ma anche un piano personalizzato di assistenza tarato sulle esigenze specifiche della famiglia (12%), un’assistenza domiciliare pubblica in caso di malattia del bambino/a per permettere ai genitori di non assentarsi dal lavoro (7%) o un sostegno psicologico pubblico che accompagni le madri nei primi mesi di vita (6%).
Le politiche locali: meglio Bolzano ed Emilia Romagna
Infine il rapporto contiene una classifica – l’Indice delle madri per regione – frutto di un’analisi basata su 7 dimensioni: demografia, lavoro, servizi, salute, rappresentanza, violenza, soddisfazione soggettiva, per un totale di 14 indicatori da diverse fonti del sistema statistico nazionale. L’indice è il frutto della collaborazione con l’Istat. Il valore del Mother’s Index, pari a 100, rappresenta il termine di riferimento rispetto al quale cogliere una condizione socioeconomica più favorevole per le donne, in caso di valori superiori ad esso, o al contrario condizioni meno vantaggiose quando il valore si attesti su livelli inferiori a 100.
Tra le regioni più “amiche delle mamme”, spiccano ai primi posti dell’Indice generale la Provincia Autonoma di Bolzano (118,8), l’Emilia-Romagna (112,1) e la Valle d’Aosta (110,3) rispettivamente al primo, secondo e terzo posto dell’Indice generale. Tutte e tre superano di ben 10 punti il valore di riferimento nazionale di 100, seguite da Toscana (108,7), Provincia Autonoma di Trento (105,9), Umbria (104,4), Friuli-Venezia Giulia e Lombardia (entrambe 104,2), che invece lo superano di poco.
Fanalino di coda dell’Index generale le regioni Basilicata (84,3), Campania (87,7), Sicilia (88,7), Calabria (90) e Puglia (90,6), che occupano rispettivamente dalla 21ma posizione alla 17ma e sono sotto il valore di riferimento di almeno 10 punti, scontando una strutturale carenza di servizi e lavoro nei propri territori, a testimonianza di un investimento strategico da realizzare proprio in queste regioni.
Foto di copertina di Francesco Alesi per Save the Children