Il mismatch della formazione: le pmi puntano sulle hard skill, i dipendenti cercano digitale e tech
Potremmo chiamarlo il mismatch della formazione: un disequilibrio tra domanda e offerta che vede sintonizzati su lunghezze d’onda molto diversi le imprese (soprattutto quelle piccole e medie), da una parte, e i dipendenti dall’altra. A fotografare questo fenomeno è un’indagine condotta da Gility, EdTech company nata come joint venture tra CDP Venture Capital Sgr e BPER Banca, su 200 aziende, tra pmi e micro-imprese, di diversi settori e filiere industriali con fatturato dichiarato da 10 a 50 milioni di euro.
La ricerca ha seguito due approcci complementari: un’analisi quantitativa, basata su una survey distribuita a tutti, e un’indagine qualitativa, con interviste rivolte a 64 professionisti nelle aree delle Risorse Umane (53%), del Learning & Development (24%), del Management aziendale (15%) e altre (8%), su quattro temi principali: l’impiego di nuove tecnologie e strumenti innovativi, i contenuti formativi, le aspettative e le richieste delle nuove generazioni e le priorità specifiche legate alla gestione delle persone.
Le imprese guardano alle hard skill
Ben l’85% delle aziende rispondenti considera molto importante o fondamentale fare formazione aziendale (in aggiunta a quella obbligatoria), ma l’investimento maggiore è soprattutto per potenziare le hard skill, le abilità tecniche che si applicano a mansioni o compiti specifici (32%).
La maggior parte dei dipendenti (83%) vedrebbe invece prioritaria una formazione sulle competenze digitali e tecnologiche, su cui d’altro canto le imprese intervistate concentrano solo il 27% dell’attenzione.
Capacità relazionali, lingue straniere e sostenibilità
Lo stesso mismatch tra azienda e dipendente si trova anche sul fronte soft skill: solo il 20% della formazione programmata dalle aziende si concentra in questa area, contro un 54% richiesto dai dipendenti che percepiscono chiaramente il valore di implementare le competenze che riguardano le capacità relazionali e comportamentali nel contesto lavorativo, così come le lingue straniere, fondamentali per interfacciarsi con i mercati esteri ma inserite nei percorsi formativi solo per un 5% contro una richiesta del 50% dei lavoratori.
Ancora bassa poi la sensibilità di pmi e micro-imprese per le tematiche di sostenibilità, le cosiddette green skill; anche su questo fronte i lavoratori vorrebbero più formazione (15%), mentre solo il 4% delle aziende risponde a questo desiderio.
Formazione finanziata: la burocrazia spaventa
Tra i temi caldi dell’analisi spicca la formazione finanziata, un’opportunità che le imprese faticano a cogliere. Il motivo? Complessità dei processi, uno scenario frammentato e molta burocrazia da gestire. Il 59% delle aziende intervistate, infatti, segnala di avere tra i 2 e i 5 fornitori per coprire le necessità di formazione finanziata, obbligatoria e upskilling. Un mercato frammentato che spesso, riporta l’analisi di Gility, sfiducia gli imprenditori o i responsabili di area ad andare oltre la formazione obbligatoria e, per necessità di tempo e rallentamenti burocratici.
L’e-learning è il new normal, il metaverso ancora no
La formazione può essere fruita digitalmente, a distanza, per una maggiore flessibilità (lo dice l’86% dei rispondenti), risparmio di tempo (80%) e semplicità di accesso (60%). Il 74% delle aziende nel mix di metodologie formative inserisce infatti la modalità e-learning on demand (asincrona) e il 69% delle aziende usa la live. Solo il 4% utilizza strumenti altamente tecnologici come VR o metaverso: sebbene vi sia curiosità, l’implementazione pratica è ancora embrionale.
Le principali aree su cui le pmi credono sia più importante attivare o hanno già attivato percorsi di formazione sono: vendite (64%), marketing (56%), amministrazione e finanza (55%). Tra i trend 2024 su cui le aziende orienteranno le strategie formative non mancano le competenze digitali, l’intelligenza artificiale, accompagnata da Leadership, Diversity e Inclusion, Digital Marketing, ESG e Sostenibilità.
Cosa vogliono i giovani
L’analisi rivela anche che per il 49% delle aziende intervistate la formazione aziendale sia importante soprattutto come leva per attirare e coinvolgere i talenti più giovani. Le nuove generazioni, infatti, manifestano la maggiore esigenza di formazione, con una marcata preferenza per un approccio flessibile all’apprendimento continuo e il bisogno non solo di formarsi sulla teoria, ma di applicare concretamente quanto appreso.
Simone Maggi, Ceo e co-founder Gility, commenta: “I risultati di questa survey confermano in modo ancora più netto i bisogni evidenti e, aggiungo, urgenti di pmi e micro-imprese in tema di formazione. Disegnare percorsi continui e mirati è sempre più importante per fare evolvere all’interno dell’organizzazione le competenze necessarie a competere, ma far diventare la formazione un elemento integrante della cultura aziendale è persino vitale. La maggiore sensibilità dei dipendenti rispetto al desiderio di formazione in alcuni ambiti, è un segnale forte e inequivocabile di quanto questa attività possa trasformarsi in un elemento chiave per attirare e trattenere le migliori persone contribuendo ad attenuare il mismatch tra domanda e offerta di lavoratori che negli ultimi anni ha impattato trasversalmente qualsiasi realtà. Al contrario, l’assenza di programmi strutturati negli ambiti corretti non farà che amplificare il problema”.
Nella foto: i co-founder di Gility Daniele di Bernardo, Federica Bulega, Simone Maggi, Flavio Molinari