New human capital: strategie per i talenti, tra wellbeing e people culture
Il benessere non è più, e forse non è mai stato, una questione privata. Trascorriamo in media 90 mila ora della nostra vita lavorando, di conseguenza, il modo in cui ci sentiamo definisce come lavoriamo, in termini di produttività, di coinvolgimento, di fidelizzazione. Parte da questa consapevolezza il primo tavolo di lavoro 2024 di GoodJob! “New human capital: strategie per i talenti, tra wellbeing e people culture”.
A Palazzo Castiglioni a Milano, nella sede di Assintel – Associazione Nazionale imprese, partner di GoodJob, 20 persone, tra esperti ed esperte del mondo del lavoro, startupper, imprenditrici e imprenditori, moderati dalla giornalista Silvia Pagliuca, hanno ragionato sui nuovi bisogni del capitale umano, a partire dalla ricerca inedita di Luca Romano che ha fotografato, da un lato, la continua fuga di cervelli (i giovani tra i 18 e i 34 anni espatriati nel 2023 sono il 44% del totale degli expat, +2% rispetto al 2022, e sono anche i laureati con voto migliore), dall’altro, le motivazioni alla base di questa scelta, ovvero la ricerca di un migliore equilibrio tra vita e lavoro e la maggiore attenzione alla formazione.
Sono dati che segnano una linea di non ritorno e che portano le aziende a dover fare un salto in avanti per rispondere con nuovi strumenti alle esigenze del capitale umano. Si prevede, infatti, che il mercato del corporate wellbeing possa raggiungere un valore di 100 miliardi di dollari entro il 2030, tra investimenti in programmi di salute mentale, di gestione dello stress, di mindfulness e meditazione. Secondo Alberto Ronco, founder di Trainect, siamo di fronte a vera e propria rivoluzione del wellbeing che promette di generare + 20% di produttività, maggiore retention dei talenti e + 300% di innovazione. Investimenti agilmente misurabili adottando la tecnica degli OKR, come ha spiegato Matteo Sola, HR Learning Development Manager in Iliad, advisor in Trainect e partner di Kopernicana.
«Per applicare un programma di wellbeing con un ROI positivo, per i singoli e per le organizzazioni, bisogna dotarsi di una strategia» – ricorda Alessandro Rimassa, founder di Radical HR. E la strategia nasce dall’ascolto delle persone, come fa notare Alberto Plantamura, Wellbeing e benefit senior manager Sky, realtà in cui il wellbeing va dalla cura della salute mentale all’educazione finanziaria. Il punto è capire come portare il benessere anche nelle PMI che solitamente hanno minori risorse in termini economici, di tempo e di risorse, sottolinea Andrea Cadei, consigliere di Assintel e CEO di Sigemi.
Secondo Francesca Quintiliani, Research & Development Coordinator Mylia, brand di The Adecco Group che si occupa di formazione e sviluppo, il benessere va costruito con le persone, a cominciare dalle buone relazioni reciproche: «Non ci sono protocolli che vanno bene per tutte le organizzazioni, serve un metodo che consenta anche alle PMI di mettere in atto percorsi virtuosi che partano da ciò che esprimono le persone, leggendo tra “il detto e il non detto”. L’importante è che il wellbeing sia una priorità per i vertici, perché si guida sempre attraverso l’esempio».
Un punto chiave è, senza dubbio, il benessere mentale. Non a caso, realtà come Serenis e Unobravo stanno entrando progressivamente in azienda. «Da una ricerca realizzata con Università di Padova è emerso che una persona su due mostra sintomi di disagio mentale sul lavoro – avverte Carlo Alberto Gaetaniello, Business Development Director Serenis -, perciò: promuovere modelli e strategie organizzative nuove è fondamentale, pur ricordando che il responsabile ultimo è l’individuo».
E Francesco Foffa, Head of Sales, Welfare & Strategic Partnership Unobravo, aggiunge: «La consapevolezza rispetto all’importanza della salute mentale è molto più alta, ma c’è ancora molta strada da fare in termini di eliminazione dello stigma, specie sul lavoro». Eliminare i pregiudizi significa, anche, normalizzare le diversità. Investire in politiche di diversity and inclusion e di disability management, in questo caso, può fare la differenza, come sottolineato da Elio Benvenuti, consulente Alleanza Assicurazioni, esperto di diversity & inclusion oltre che disability ambassador per Alleanza.
A ispirare può essere anche il settore pubblico, come dimostra il caso del Comune di Milano che con 13.000 dipendenti è il principale datore di lavoro della città. «La difficoltà nel trovare talenti è altissima: c’è un tema di mancanza di orientamento, di scarso appealing in alcuni settori, di basse retribuzioni, ma anche di nuovi bisogni. L’attenzione al benessere è fondamentale e va stimolato in maniera trasversale, con la consapevolezza che i nodi da sciogliere sono tanti» – dichiara Alessia Cappello, Assessora allo Sviluppo Economico e Politiche del lavoro Comune di Milano, ricordando alcuni dei progetti portati avanti: dalla mentorship per l’empowerment femminile alle carriere alias all’avvio del Campus ITS.
Per essere pronte al cambiamento, le organizzazioni potrebbero anche rivedere i propri modelli diventando «adattive», fa notare Stefano Marchese, vice president di EFI Ecosistema Formazione Italia, community partner di GoodJob. In questo modo, potrebbero essere più resilienti e guadagnare in capacità di ascolto. Secondo il futurista, Chief Happiness Officer e founder di Happiness for future, Matteo Ficara, anche il welfare dovrà ripensarsi, cercando di allineare purpose aziendale e motivazione delle singole persone. Ancora una volta, spicca l’esigenza di rendere le persone protagoniste aiutandole a riconoscere il proprio Ikigai, come ricordato da Carlo Rinaldi, Chief Marketing Officier di Glickon, ovvero quel mix di passioni e competenze che rendono le persone coinvolte e orientate alla crescita.
E proprio le competenze sono al centro delle discussioni delle risorse umane. Secondo Zara Carletto, Regional Account Director LinkedIN, la direzione è quella dello “skills first hiring”, anche alla luce del fatto che il 65% delle skills sarà trasformato dall’AI entro il 2030. La selezione per titoli, evidentemente, non basta più ed è tempo di riscrivere anche le regole del recruiting.
«La classica espressione “le faremo sapere” è una frase che le nuove generazioni non tollerano – avverte Enrico Ariotti, co-founder di nCore, software in cloud che si occupa di aiutare gli HR nella recruiting automation – dobbiamo prenderci cura delle persone e valorizzarle in tutto il loro percorso, anche quando ricevono un no». Quel “no”, se motivato, infatti, contribuirà a definire il DNA di un’azienda e ad alimentarne la sua reputazione, positiva o negativa che sia. E oggi, un employer branding connesso alla cultura del benessere riduce il costo per assunzione e attira talenti di alta qualità.
Fondamentale è, poi, assicurare un’evoluzione anche durante tutto il percorso di carriera. Una soluzione efficace potrebbe essere quella di mappare le competenze, come suggerisce Cristian De Mitri, CEO di Eggup, Gruppo Zucchetti, software HR per analizzare le soft skill individuali e di team. Apprendimento e crescita sono, infatti, elementi centrale soprattutto per le nuove generazioni: «La Gen Z ha ben chiaro cosa vuole dal lavoro: responsabilità, fiducia, inclusione, crescita. Ma ha difficoltà a orientarsi nel mondo del lavoro, per questo è fondamentale chiudere il gap tra istruzione e imprese» – avverte Betty Pagnin, Head of People & Culture & Equity partner One Day Group.
Non solo, anche gli ambienti fisici contribuiscono a determinare come viviamo il lavoro e si dimostra sempre più rilevante la flessibilità. «Il passaggio verso il modello ibrido è una delle forze più importanti in gioco. I lavoratori sono sempre più pronti a lavorare in uffici di prossimità, modalità che offre notevoli opportunità anche per le comunità locali e aiuta ad avere un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata» – spiega Margherita Sainaghi, community & event manager Spaces, gruppo specializzato in spazi per lavoro flessibili parte di IWG. E aggiunge: «Con 4.000 spazi per il lavoro flessibile in 120 Paesi conduciamo spesso ricerche e ci dicono che il lavoro ibrido sta creando e mantenendo una forza lavoro più sana e felice. Dare la possibilità di lavorare in modalità ibrida è per le aziende un modo semplice e, allo stesso tempo importante di mettere i propri dipendenti al primo posto, dando loro un maggiore controllo sugli orari e liberando il loro tempo. Le realtà che hanno adottato il lavoro ibrido non solo vedono una forza lavoro più sana e felice, ma anche team più coinvolti e produttivi».
In definitiva, fa notare Joshua Volpara, cofounder della casa editrice Ayros, «il wellbeing, per non restare una semplice buzzword aziendale, deve lavorare in un campo energetico che da un polo abilita nelle persone la capacità di agire con motivazione, orientandosi ad uno scopo, lavorando in autonomia e con padronanza (come dice Daniel Pink in Drive) e dall’altro permette loro di curare lo spazio del non-lavoro, spazio vitale sorgivo per la stessa produttività lavorativa».
Il benessere è, dunque, una questione di responsabilità aziendale ma anche individuale. «Il percorso di GoodJob! nasce per creare occasioni di scambio e confronto che contribuiscano a cambiare la cultura del lavoro nella direzione del benessere, dell’innovazione e della sostenibilità sociale» – conclude Francesca Ponzecchi, co-founder di Blum, società da cui nasce GoodJob!, dando appuntamento ai prossimi tavoli che percorreranno l’Italia durante tutto il 2024 per raccontare il “lavoro buono”.