Salute mentale, al lavoro è ancora un tabù. Il monito di Mattarella e l'esempio di Basaglia
«Datori di lavoro, scuole, Istituzioni e comunità hanno un ruolo cruciale perché il benessere mentale è responsabilità collettiva e ciascuno è chiamato a fare la propria parte per costruire una società più consapevole, inclusiva e solidale». Sono parole che suonano come un monito, anche per il mondo del lavoro, quelle pronunciate dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale che si celebra oggi 10 ottobre.
Ricorrenza che in questo 2024 si colora di una profondità ancora maggiore, a 100 anni dalla nascita di Franco Basaglia. Grazie a questo grande psichiatra e neurologo e al suo «approccio innovativo» afferma Mattarella «l’Italia ha tracciato politiche più rispettose dei diritti delle persone con disturbi psichici e ha aperto la strada a una nuova concezione della salute mentale basata sull’inclusione sociale, l’autonomia dei pazienti e il supporto all’interno della comunità».
Ma le celebrazioni del passato non bastano perché nel nostro presente «il tema della salute mentale viene ancora troppo spesso trascurato» è il monito del Quirinale, e «il pregiudizio e la disinformazione che la circondano impediscono a molti di farsi aiutare».
Un dato questo purtroppo confermato da una ricerca di Hays Italia, con il contributo di Serenis, pubblicata in questi giorni, secondo cui per il 44% degli italiani parlare di salute mentale nel luogo di lavoro è ancora considerato un forte tabù, un dato più alto della media globale, pari al 37%. Inoltre quasi un lavoratore su due (49,4%) dichiara di trovarsi in una situazione di grave disagio psicologico. Le motivazioni? Il clima difficile in azienda per il 50%, seguita dai carichi di lavoro eccessivi (38%). Il fenomeno è più accentuato tra le donne, secondo la ricerca. Queste infatti riportano un livello di disagio psicologico maggiore rispetto agli uomini (indice di 20,3 contro 19,6).