Skills mismatch: la sfida delle competenze, dentro e fuori dalle aziende
Entro il 2030, oltre il 90% delle imprese dovrà raggiungere almeno un livello base di digital intensity e il 75% dovrà utilizzare servizi di cloud computing, data analysis e intelligenza artificiale. Ma le competenze non corrono veloci tanto quanto le sfide del business. È partito da qui il tavolo di lavoro di GoodJob dedicato al tema dello skills gap, organizzato in partnership con EFI – Ecosistema Formazione Italia: un simposio ospitato nel cuore di Napoli, nella sede di Talent Garden, con 16 esperti ed esperte di risorse umane che hanno riflettuto sulle cause dello skills mismatch e sulle possibili soluzioni.
Come emerso dalla ricerca presentata da Luca Romano, founder di Local Area Network, la mancanza di competenze e, al contempo, di valorizzazione del talento, ha ripercussioni importanti sul sistema Paese. Se non riescono a trovare sul mercato le competenze di cui hanno bisogno, le imprese investono nella riqualificazione del personale interno (38,9%), ampliano il territorio di ricerca (33,3%) oppure, particolarmente grave, rinunciano al progetto imprenditoriale (16,7%) o appaltano l’attività a un’impresa esterna (11,1%). Sono dati che richiedono risposte coraggiose e sistemiche. «Dobbiamo ripensare la formazione accademica con la consapevolezza che l’avvio di ogni corso di laurea necessita di almeno tre o sei anni prima di immettere sul mercato nuovi talenti: un tempo che non abbiamo» – ha rilevato Dario De Notaris, Learning Technologies Specialist, sottolineando il valore cruciale dell’orientamento, specie per le nuove generazioni. I più giovani, infatti, sono spesso disorientati da un mercato del lavoro che cambia in fretta e per il quale anche le competenze acquisite durante il percorso accademico sembrano essere inefficaci, come emerso dall’esperienza condivisa da Antonio Pandolfi, giovane talento del People & Performance Management di Grimaldi Group.
Al mondo della formazione si chiede, quindi, uno sforzo in termini di innovazione: nei linguaggi, nelle soluzioni proposte, nelle metodologie attivate. Ma l’ecosistema della formazione a oggi è ancora molto frammentato e proprio attraverso l’operato di EFI, rappresentata al tavolo dal suo VP, Stefano Marchese, potrebbe riuscire a fare sistema. «Abbiamo davanti tre grandi sfide: accrescere la consapevolezza nelle aziende, valorizzare i percorsi di acquisizione di nuove competenze e personalizzare l’apprendimento» – ha spiegato Sonia China, Innovation Manager Enzima12 e Coordinatrice ITS NewTechSi, evidenziando come anche gli ITS abbiano diverse fragilità da sanare sia in termini di mancata attrattività per i talenti che di rapporti con le imprese. Secondo Angelo Giuliana, Direttore Meditech Competence Center, il punto è capire come riuscire a diffondere la cultura della formazione nelle PMI del centro sud Italia, visto che spesso si hanno di fronte realtà familiari restie al cambiamento che approcciano alla formazione in maniera tattica più che strategica. Una leva potrebbe essere riconoscere il mancato guadagno e, al contempo, la perdita in termini economici legata al non investimento in formazione. «Perdere una persona costa a un’azienda almeno cinquanta mila euro e oggi la formazione è una delle prime leve di attraction e retention per i talenti. È chiaro, quindi, perché il lifelong learning dovrebbe essere un fattore chiave per ogni impresa» – conferma Davide Conforti, managing director di Edflex Italia.
Serve, quindi, un nuovo patto tra azienda e capitale umano, come ha rilevato da Salvatore Anania, chief HR di Innovaway, realtà che sta sperimentando al suo interno un’importante evoluzione del business e che per tanto sta lavorando proprio su processi di mappatura delle competenze, upskilling e reskilling. Secondo Bruno Scuotto, imprenditore e presidente della rete ITS Campania, le imprese si sono fatte trovare impreparate alla transizione occupazionale: non sono cambiate solo le tecnologie, sono cambiate le persone e di conseguenza si è drasticamente ridotta la permanenza media in azienda dei lavoratori: «Per recuperare terreno e invertire la rotta, è fondamentale investire sull’orientamento, ma occorre anche convincere famiglie, ragazzi e docenti che gli ITS possono essere uno strumento importante di occupazione. Di fatto – chiarisce Scotto – a dover dare un’accelerata agli ITS, dovrebbero essere proprio le imprese e i giovani».
Parallelamente bisognerebbe agire sui linguaggi della formazione immaginando nuove modalità di training che, da un lato, riescano a catturare la sempre più volatile attenzione delle persone e, dall’altro, intervengano per rimettere al centro il valore culturale della formazione. Il tutto, utilizzando strumenti come la gamification o tecnologie di intelligenza artificiale, realtà virtuale e realtà aumentata, come hanno ricordato Carlo Cuomo, docente e consulente esperto di edutainment e Alfonso Santaniello, Presidente e Direttore Generale Conform.
La sfida più grande resta però, come ricordato dal Direttore Generale di INHUSE – Innovation Hub South Europe, Pasquale Brancaccio, immaginare una formazione che possa preparare le persone a lavori che ancora non esistono e al tempo stesso validare tali competenze. «Secondo il Future of jobs report 2023 del World Economic Forum, il 44% dei lavoratori dovrà cambiare le sue competenze nei prossimi 5 anni» – ha avvertito Giacomo Marchiori, co-Founder di Talentware, piattaforma che aiuta le aziende a coinvolgere, sviluppare e trattenere efficacemente i talenti attraverso un approccio basato sulle competenze. «Per questo – ha aggiunto – è indispensabile cambiare approccio e scoprire non solo le skills più funzionali alle attività aziendali ma anche le cosiddette “hidden skills”, skills nascoste, per proporre la formazione più efficace».
Non sempre, come ha ricordato Federica Bulega, cofounder di Gility, la formazione erogata dalle imprese corrisponde ai desiderata dalle persone: l’ascolto è il primo tassello dal quale partire per proporre soluzioni innovative ed efficaci. Un approccio, questo, rivoluzionario anche per Dayana Mejias Roman, founder & CEO Viblio, piattaforma di mentoring digitale per l’apprendimento personalizzato: «Dobbiamo smetterla di guardare nello specchietto retrovisore e iniziare a pensare a cosa potrà concretamente servirci domani. E di conseguenza dobbiamo responsabilizzare i singoli individui rispetto alle loro concrete opportunità di crescita e sviluppo professionale e personale». «Oltre alle competenze hard e soft, dobbiamo lavorare sul mindset – ha aggiunto Marco Gadaleta, Director of tech and cyber school Talent Garden -, stimolando una cultura basata sull’informal learning, ovvero sulla contaminazione delle idee che abiliti una crescita reciproca». E forse, per farlo, come ha suggerito in chiusura Maria Borrelli, formatrice del Social Warning Movimento Etico Digitale, potremmo riscoprire l’antica arte della maieutica, tornando a lavorare sul pensiero critico. Una skill, questa, che senza dubbio conquista il podio di chiunque voglia surfare le alte onde del nuovo mondo del lavoro.