Smart working, il dietrofront delle big tech. Raguseo: «Equilibrio per non creare disuguaglianze»
Amazon che richiama in ufficio i propri dipendenti per cinque giorni alla settimana a partire dal prossimo gennaio è solo l’ultima di una serie di grandi aziende tecnologiche che, in modo più o meno graduale, danno un taglio al lavoro da remoto. È finita, se mai è esistita, l’era d’oro dello smart working? Le cose sono più complesse di così, secondo Alessandro Raguseo, founder e Ceo della società di head hunting Reverse.
Raguseo, si moltiplicano le notizie di grandi aziende internazionali che richiamano i propri collaboratori in ufficio, anche nel settore big tech. Come interpretare questo fenomeno?
È importante non farsi trascinare dai trend globali senza considerare ciò che avviene nelle migliaia di aziende sul territorio, che spesso hanno esigenze molto diverse da quelle dei grandi player internazionali. Le decisioni di richiamare i dipendenti in ufficio, anche nel settore tech, riflettono la necessità di bilanciare i benefici del lavoro da remoto con la realtà operativa di molti contesti aziendali. Se da una parte il lavoro a distanza ha offerto vantaggi in termini di flessibilità, dall’altra il ritorno in ufficio è visto come fondamentale per garantire collaborazione, innovazione e produttività a lungo termine, soprattutto nei ruoli che richiedono un alto livello di interazione personale. Inoltre, esiste un chiaro disallineamento tra coloro che possono permettersi di lavorare da casa e coloro che, per la natura della loro professione, devono essere presenti fisicamente sul posto di lavoro. Questo fenomeno crea il rischio di una divisione tra lavoratori di serie A e di serie B, sottolineando la necessità di politiche che considerino le diverse esigenze dei vari settori.
Nonostante la diffusione del lavoro da remoto anche in Italia, in seguito alla pandemia, alcune ricerche descrivono un peggioramento della qualità del lavoro percepita. Da che cosa dipende?
Il peggioramento della qualità del lavoro va valutato in maniera approfondita e non considerando un unico numero derivato da statistiche che mescolano situazioni molto diverse tra loro. In ogni caso se si vuol parlare di questo peggioramento bisogna considerare che può derivare da diversi fattori. In primo luogo, molti lavoratori sperimentano una maggiore solitudine e isolamento quando lavorano da casa, mancando la componente sociale e di networking che caratterizza il lavoro in ufficio. Inoltre, il confine tra vita lavorativa e personale può diventare meno chiaro, con la conseguente difficoltà a staccare completamente dal lavoro. Alcune aziende potrebbero non aver implementato adeguatamente strumenti e pratiche di gestione per il lavoro remoto, il che può portare a un sovraccarico di lavoro o a una mancanza di supporto adeguato. Infine, ci sono categorie professionali che non beneficiano in egual misura del lavoro da remoto, come operai o personale del settore terziario, il che può aumentare la frustrazione nel vedere differenze nei benefit e nelle condizioni di lavoro.
Qual è la ricetta per creare un equilibrio tra lavoro da remoto e lavoro in sede?
L’equilibrio tra lavoro da remoto e lavoro in sede richiede un approccio personalizzato che tenga conto delle esigenze sia dei dipendenti che dell’azienda. Le aziende dovrebbero basarsi su un ascolto continuo dei propri collaboratori, creando un dialogo aperto che permetta di adattare le politiche in base alle esigenze reali del personale. Fondamentale è evitare di creare disuguaglianze tra chi può lavorare da remoto e chi è obbligato a lavorare in sede. Un altro elemento chiave è la comunicazione trasparente delle motivazioni dietro le scelte aziendali, in modo che tutti i collaboratori comprendano il razionale alla base di queste decisioni. Infine, l’uso di tecnologie per la collaborazione a distanza e la definizione chiara di obiettivi condivisi possono aiutare a mantenere la produttività elevata indipendentemente dal luogo in cui si lavora.