Talent shortage, Roberta Zantedeschi: le parole da usare per attrarre le persone
E se il benessere delle organizzazioni passasse dalle parole? Secondo Roberta Zantedeschi, HR business writer, mai come in questo periodo la comunicazione ha un ruolo strategico. Per attrarre nuovi talenti, per far sì che i singoli si facciano notare sul mercato e per creare un ambiente di fiducia che possa spingere le persone a restare.
Zantedeschi, le parole sono importanti. Sono importanti anche per far fronte al talent shortage? E in che modo?
«Dipende dalla visione, dal target, dal tono di voce aziendale e dal messaggio distintivo che si vuole lasciare. Di conseguenza, ogni impresa può valutare se privilegiare i social o gli eventi offline, se usare canali generalisti o di nicchia. Il grande tema non è scegliere il mezzo, ma avere una strategia. Per questo, suggerisco alle aziende di lavorare su Purpose e Employee Experience: operando bene e in modo autentico su questi due fattori sarà più semplice farsi notare».
Nella fase di recruiting a quali aspetti comunicativi dobbiamo fare più attenzione?
«Anzitutto, dobbiamo scegliere le parole con consapevolezza. Troppo spesso scriviamo in modo automatico o usando le parole che usano tutti. Penso alle pagine “lavora con noi” delle aziende e ai singoli annunci che abbondano di frasi fatte e descrizioni di plastica. “Azienda giovane e dinamica” è tra le descrizioni più abusate e tra le meno efficaci insieme a “leader di mercato”. Anche parlare delle persone come “risorsa” e “figura” non aiuta a distinguersi. Quello che si può fare è ragionare come ragiona chi si occupa di design e partire pensando all’esperienza che si vuole offrire a chi legge, sapendo cosa può piacere, attrarre e interessare e riducendo o eliminando tutto il resto. Il testo, inoltre, deve essere costruito con messaggi autentici, ordinati, personalizzati e inclusivi, adottando un linguaggio ampio e rispettoso. È importante in un annuncio, ma anche nella descrizione dell’azienda, evitare formule vaghe e giri di parole. Aiuta anche dimostrarsi aperti al dialogo e abbandonare un po’ di formalità a favore della vicinanza».
Questo è vero finché non sarà l’Intelligenza Artificiale a scrivere le job description…
«L’intelligenza artificiale è, e spero resti, uno strumento utile a migliorare il nostro lavoro e a renderci sempre più capaci di generare valore e beneficio per le persone. Sconsiglio di fare resistenza. Anzi, guai a restare troppo indietro. Al contempo, però, riconosco che c’è un grande vuoto a livello umano: non conosciamo le regole del gioco, non ci poniamo le giuste domande e usiamo la tecnologia senza capire come impatta davvero nella nostra vita. Su questi temi dovremmo riflettere molto di più».
E quando gli algoritmi di intelligenza artificiale sono applicati nella selezione dei CV, quali strategie dovrebbe adottare chi si candida?
«Gli algoritmi non sono diversi dalle persone: riproducono bias e stereotipi di chi li ha progettati. Per dialogare in modo efficace con un sistema di screening dei CV (che è una delle funzioni degli ATS – applicant tracking system) è necessario rendere il proprio CV ben navigabile e leggibile, inserire le parole chiave opportune, limitare l’uso di emoticon o disegni/loghi che alcuni sistemi non riconoscono e quindi non sanno interpretare, spiegare con chiarezza cosa si fa, cosa si sa e cosa si cerca. Sembrano banalità ma è esattamente ciò che serve. Il consiglio è anche quello di rivedere i propri testi cercando di usare, dove possibile, le stesse diciture o parole chiave usate dall’annuncio di lavoro a cui si sta rispondendo creando, in questo modo, congruenza e corrispondenza tra CV e annuncio».
Tra robotica, AI, machine learning, saper comunicare bene farà ancora la differenza sul lavoro?
«Io mi auguro e voglio sperare che le competenze umanistiche possano diventare distintive. Proprio in uno scenario in cui la tecnologia sarà sempre più pervasiva, dovremo coltivare le qualità e le competenze umane, relazionali e comunicative. In molti settori faranno la differenza».
Ma la comunicazione definisce il contesto in cui lavoriamo anche internamente?
«Sì, in modo decisivo e, ancora una volta, distintivo. La comunicazione interna incide in modo diretto sul sistema relazionale e quindi anche sul benessere delle persone, dalle riunioni all’uso delle e-mail, dal tono di voce interno alle iniziative di internal branding, dal modello di leadership alle comunicazioni della direzione, fino al sistema organizzativo adottato dall’azienda. Tutto questo concorre a definire il sentiment della realtà in cui lavoriamo. Le aziende dovrebbero chiedersi: “che luogo di lavoro voglio essere?” E da qui capire che tutto ruota intorno alla relazione, all’organizzazione e alla comunicazione. Questo è ancor più vero oggi, nella fase di grande cambiamento che stiamo vivendo. Per evitare l’effetto spiazzamento che ha colpito moltissime lavoratrici e lavoratori, dobbiamo favorire la partecipazione, il confronto, il dialogo».
Quali parole definiranno il futuro del lavoro?
«Quelle che appartengono all’essere umano e alla collettività. Dunque: partecipazione, intelligenza collettività, rispetto, relazione, consapevolezza, impermanenza (o cambiamento continuo), dialogo, spiritualità, amore, libertà (ovvero lavoro libero), ma anche diserzione e dissenso».