Fuga di talenti, Belluzzo: «Non solo sgravi fiscali, per tornare in Italia, vogliamo una nuova cultura del lavoro»
Dal 2011 al 2023, l’Italia ha perso oltre 550 mila connazionali. Solo negli ultimi due anni, quasi 100 mila giovani italiani hanno scelto di studiare e lavorare all’estero. È la fotografia scattata da Fondazione Nord Est e ritrae un Paese che perde menti curiose e pronte a scommettere sul loro futuro. Umberto Belluzzo, co-founder e CEO di United Italian Societies, veronese di nascita, fa parte degli italiani che hanno scelto – per ora – di costruire il proprio percorso professionale all’estero. In Inghilterra per l’esattezza, prima a Oxford, dove ha terminato gli ultimi due anni di liceo, e poi a Londra, dove ha studiato Philosophy, Politics and Economics alla London School of Economics.
«Le ragioni che spingono molti giovani a lasciare l’Italia sono, prima di tutto, economiche. Ma si sbaglia a pensare che siano solo gli stipendi più alti ad attrarre i talenti italiani. È la cultura del lavoro a fare la differenza» spiega Belluzzo, anticipando alcuni dei temi che affronterà durante il tavolo di lavoro organizzato da GoodJob! in partnership con Unicredit a Treviso il prossimo 27 settembre. Un appuntamento interamente dedicato alla grande sfida del “talent shortage”, ovvero alla difficoltà lamentata da moltissime imprese di trovare i talenti di cui hanno bisogno. Talenti che, appunto, spesso fuggono oltre-confine. «In UK – chiarisce Belluzzo -, all’interno di una stessa azienda, c’è un continuo scambio di idee tra junior e senior. Si creano dinamiche di ascolto bidirezionale che valorizzano i giovani, cosa che in Italia accade ancora raramente».
Un altro punto dirimente è la mancanza di informazione e di orientamento: «Il lavoro dovrebbe essere introdotto nelle scuole, almeno negli ultimi anni degli istituti superiori. I ragazzi e le ragazze inglesi hanno molta più consapevolezza di cosa significhi lavorare in un determinato settore o di quali siano le professioni più richieste, in Italia non è così. Iniziare a discutere delle diverse carriere disponibili, cosa comportano nello specifico, quali sono le aziende leader e quali competenze richiedono, aiuterebbe a risolvere il problema del disallineamento tra formazione e lavoro. Ad esempio, quando si parla di una “carriera nella finanza”, raramente si approfondisce quali siano i ruoli specifici all’interno del settore finanziario. Lo stesso vale per ingegneria, consulenza e tecnologia. Se le scuole iniziassero a organizzare eventi in collaborazione con grandi e piccole aziende, tutte le parti coinvolte ne trarrebbero vantaggio».
Tutti aspetti migliorabili, sfruttando meglio le leve della comunicazione e creando rapporti più sinergici tra pubblico e privato. «È fondamentale coinvolgere le istituzioni in questo processo, per far sì che possano facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, accrescendo l’awareness, la consapevolezza, delle nuove generazioni rispetto al loro futuro professionale». Anche per questo è nata United Italian Societies, associazione che conta 11 mila membri in oltre 50 università di sei paesi nel mondo (26 delle quali nel Regno Unito, le altre negli Stati Uniti, Olanda, Spagna, Francia e Svizzera con, in arrivo, anche Portogallo e Svezia), e dedicata a tutti coloro che già studiano all’estero o che desiderano intraprendere un percorso simile.
«Spesso non si hanno informazioni, sembra tutto molto complicato, per questo abbiamo creato delle guide gratuite che spiegano come funzionano i sistemi universitari in alcuni Paesi. Inoltre, a partire dalla nostra esperienza, mettiamo a disposizione informazioni pratiche ma essenziali, ad esempio su come scrivere una lettera di presentazione per accedere a determinati atenei» chiarisce il founder. Ancora, con la consapevolezza che studiare all’estero è, a tutti gli effetti, un percorso non inclusivo, l’associazione si impegna in prima persona per far sì che istituzioni e privati mettano a disposizione più borse di studio per favorire la mobilità dei talenti italiani. Inoltre, contando su relazioni dirette con Ambasciate e Consolati, l’associazione aiuta i talenti a orientarsi nei nuovi Paesi e a risolvere eventuali complessità burocratiche.
Un altro punto chiave è il mentoring: potendo contare su una rete di professionisti di valore, United Italian Societies sviluppa progetti di mentoring che facilitano l’orientamento e l’avanzamento professionale dei giovani studenti. In aggiunta, l’associazione ha istituito un think thank che sostiene il percorso dei dottorandi e ha creato una piattaforma gratuita che dà la possibilità alle aziende di offrire opportunità di lavoro ai giovani associati. Infine, organizza eventi di networking coinvolgendo personalità di rilievo del mondo del lavoro italiano. L’Italian Symposium a Londra, evento di spicco dell’associazione, ad esempio, ha visto la partecipazione di oltre 2.000 studenti presso la London School of Economics, l’Università di Oxford e l’Ambasciata d’Italia con ospiti, tra gli altri, Enrico Letta e Matteo Renzi, Carlo Nordio, Mirja Cartia d’Asero, Carlo Cottarelli ed Elsa Fornero.
La sfida al sistema impresa italiano, quindi, è chiara: solo cambiando la cultura del lavoro e investendo in percorsi di formazione, crescita e ascolto generazionale, il Paese tornerà a essere attrattivo per i talenti migrati all’estero. «Non tutto si risolve con uno sgravio fiscale: abbiamo voglia di lavorare, ma vogliamo farlo in un contesto innovativo e sfidante. Mettere questi temi sul tavolo è cruciale per il futuro della nostra generazione e per quello del Paese» conclude Belluzzo.